Piccolo museo
Care teste fiorite per oggi vi propongo un librino piccolo per dimensioni ma corposo e soprattutto secondo me grandissimo come importanza, un libro che ha fatto storia e che credo sia ormai da tempo un piccolo classico di una concezione di libri che non corrispondono a generi precisi ma spaziano, sono imprendibili.
Questo è Piccolo museo con le immagini scelte da Alain Le Saux e Grégoire Solotareff edito da Babalibri più di vent’anni fa e che non dimostra in nessun modo la sua età, anzi. Sempre più spesso mi capita di pensare a quanto velocemente i libri transitino e di quanto siamo concentrati nel correre dietro alle novità e poi ci perdiamo di vista o tralasciamo libri intramontabili e imprescindibili come questo Piccolo museo che da oltre vent’anni fa il proprio dovere di buon libro in sordina.
Questo post quindi è dedicato a lui!
Piccolo museo è una abecedario dalla A alla Z in cui le le lettere ed i suoni vengono rappresentati da dettagli di dipinti, ogni lettera è rappresentata da un numero variabile di parole e dunque di dettagli, la D di Dito, ad esempio ha una sola occorrenza ma se andare alla C troverete oltre 15 parole così come per moltissime altre lettere. Manca la H e ce ne faremo una ragione. Il gioco che il libro propone è dunque quello vecchio come l’alfabeto, più o meno, ovvero rendere visibile il concetto o almeno uno dei tantissimi elementi concettuali e significati che una parola può portare con sé ed allora dove sta la forza e in qualche modo anche la novità di questo libro che forse potrà tornare ad essere o sembrare paradossalmente più innovativo oggi di venti anni fa?
Sta nell’immagine scelta per rappresentare la parola scelta e non voglio immaginare la difficoltà che i due curatori, chiamiamoli così, di questo piccolo museo, hanno affrontato per selezionare. Lì c’è l’imponderabile della mente del curatore, perché alla parola cane corrisponde il cagnolino di Carpaccio e, ad esempio, non un levriero di Veronese o uno dei tantissimi cani dipinti nei secoli? Questa è una scelta soggettiva evidentemente e siamo grati a questi curatori per averci proposto la loro selezione ma soprattutto siamo loro grati per averci fornito un metodo, uno spunto di lavoro… Perché non lasciare a disposizione di bambini anche molto piccoli cataloghi di musei e di artisti in cui ricercare il proprio vocabolario? Il proprio alfabetiere magari fatto anche delle parole più semplici, le prime che ci vengono in mente per ogni lettera, non è necessario ricercare l’originalità, ma dando a quelle parole un significato visivo di per sé significante del suo essere dettaglio di un dipinto di un grande artista?
Perché non, al contrario, giocare ad allargare il dettaglio ed andare a riconoscerlo nell’insieme del quadro magari cercando all’interno dello stesso altre parole riconoscibili e scrivibili? Perché non cercare un intero abecedario in un unico quadro?
Ci stiamo allontanando dall’idea di educazione all’arte e dall’idea di insegnamento dell’alfabeto?
Secondo me no, stiamo facendo in modo che entrambi si amplifichino a vicenda, questo sì che possiamo farlo. Possiamo farlo a patto di riuscire a liberarci dall’idea che i linguaggi, le esperienze, le “materie” siano separate, indipendenti le une dalle altre.
Ma veniamo un attimo al titolo: alla lettera M non abbiamo il corrispondente di un’immagine che rappresenti un museo – sarebbe però stato interessante vedere su cosa sarebbe ricaduta la scelta dei curatori – perché il museo ce lo abbiamo in mano! E’ un museo portatile, piccolo perché ce lo possiamo portare dietro, non richiede strutture architettoniche impegnative, si accontenta delle pagine di un libro; piccolo perché lavora sul micro non sul macro, sul dettaglio e non sull’intero; piccolo infine perché pensato per un pubblico di piccoli? Di bambini?
No, questo francamente non credo ci siamo proprio nel titolo o almeno io non lo sento e non lo vedo questo significato, Piccolo museo non è un libro a cui si possa “dare un’età” come non la si può dare al suo lettore, lo stesso lavoro, lo stesso procedimento mentale si potrebbe proporlo ad ogni età, in qualsiasi contesto, persino in un grande museo in cui proviamo a ricostruire in un percorso un personalissimo alfabeto tratto dalle opere, perché no?!
Mi è capitato molto spesso, ancora mi capita e sicuramente capiterà in futuro, di sentire obiezioni riguardo ai libri legate ad una supposta impreparazione dei bambini a poter seguire e gestire il libro, la storia, ecc in maniera adeguata. Ed io sempre mi domando se ci sia una maniera adeguata. Tolti i casi di alcune trame e tipologie di narrazione, e soprattutto restando nel luogo dell’arte, non credo ci sia mai un’età o un momento in cui si è o non si è “pronti”, certo se partiamo dall’idea di un approccio cognitivo e di una perfetta comprensione di tutti i significati reconditi siamo d’accordo ma allora credo che meno dell’1% della popolazione adulta, non bambina, potrebbe entrare in un museo con cognizione perfetta di causa di ciò che sta guardando.
Ci interessa che il bambino riconosca che il cane della C di piccolo museo è stato disegnato da Carpaccio e la pipa della P da Van Gogh? Non credo ci interessi più di tanto in questo contesto francamente, quello che mi interessa invece è una esposizione sin da piccolissimi a tipi di linguaggi visivi ed estetiche diverse, fuori dalla stereotipia, dal brutto e dal consueto. Questo credo sia uno dei sensi di questi piccolo museo in cui i curatori hanno fatto, come tutti i curatori di mostre che si rispettino, una selezione ed a cui starà al visitatore valutare la consonanza con i propri gusti e le proprie eventuali scelte divergenti.
Anche di questo e di molto altro parleremo insieme e proveremo anche a sperimentare domenica 10 ottobre in Querini Stampalia con il corso L’arte di raccontare l’arte.