Infanzia di un fotografo

01 In Infanzia di un fotografo Massimiliano Tappari (edito da Topipittori) mette in parole, direi più che altro in pensieri che si rincorrono numericamente, la propria infanzia e la nascita di quella che più che essere una professione è un’attitudine alla visione.

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“01 Il mondo si divide in due categorie di persone: chi divide il mondo in due categorie di persone e chi non lo fa. Io sto cercando di smettere, ma la tentazione è irresistibile e ogni tanto ci ricasco. Sarà perché ho due nomi e quindi io stesso mi sento diviso in due.”

03 Così inizia la narrazione in prima persona di chi Massimiliano sente di essere e di esser stato. Un percorso che va dalle origini dell’infanzia o del ricordo, o di quando è cominciata quella strana attitudine a vedere cose che gli altri faticano a vedere.

04 Ho scoperto grazie a questo libro che questo talento e forma di “dissociazione visiva” ha anche un nome, si chiama paraeidolia e l’etimologia greca richiama immediatamente alla mente i falsi idoli di Platone che si mostrano, a chi ha questa caratteristica, come parti alternative del visibile. Non credo Massimiliano Tappari sia l’unico bambino, poi adulto, poi fotografo, affetto da paraeidolia e tuttavia credo che non molti altri sappiano usare a proprio favore questo punto di vista esclusivo e forse in parte escludente sul mondo della cose.

05 Così come ogni oggetto è significante in quanto dotato di vita, anche i singoli respiri di pensiero scritto sono singolarmente significanti e Tappari ha scelto un tipo di scrittura che si vede assai di rado: brevissimi passaggi, talvolta legati tra loro in consecuzione più o meno logica, talaltra no. E’ la forma con cui Wittgenstein ha scritto il Tractatus, quella delle proposizioni che possono creare legami con qualcosa che c’è prima, o con qualcosa che c’è dopo in giochi linguistici e rimandi di pensiero, oppure possono legittimamente funzionare da soli. Al lettore la scelta di leggere come come meglio crede.

06 Le suggestioni e i ricordi personali, reinterpretati col senno di poi e alla luce di una vita successiva, si accostano a eventi esterni ed estranei alla vita del bambino e che però in qualche modo ne hanno influenzato il pensiero, penso a interventi come quello dedicato all’inventore della penna biro che ci transita da una narrazione scolastica (e ve le raccomando proprio le narrazioni dei ricordi di scuola!!) ad una narrazione di scrittura estremamente personale. Quanto sarebbe stato più complesso articolare questi passaggi tenendo una forma di scrittura unitaria e coerente come è quella del romanzo o del racconto? La divisione per microepisodi, singole lunghe proposizioni è assolutamente funzionale!

07 Tra le tantissime cose che mi hanno colpita di questo libro sta proprio questa scelta di scrittura così rara da incontrare eppure così potente che potrebbe essere congeniale a tanti ragazzi e ragazze, o lettori di qualsiasi età, e che con buona probabilità ne ignorano l’esistenza!

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“27 A volte per scrivere basta un dito. Quando, in inverno, mia madre cucinava il minestrone, i vetri della cucina si appannavano e io ne ero felice perché così potevo disegnarci sopra. Facevo due buchi per gli occhi e guardavo fuori senza esser visto. Mi sembrava di indossare la casa come se fosse una gigantesca maschera”.

09 Scrivere è anche questo, innanzitutto vedere, rubare ciò che il mondo ci dà da vedere, come teorizza senza ritrosie Occhio ladro, stando nascosti così che non si imbarazzi, il mondo fuori intendo, e non si ritragga o non influenzi l’osservazione.

10 Ma sugli oggetti si può fare affidamento, loro sono lì ignari che qualcuno a parte i bambini li vedano con occhi diversi da quelli che li vogliono semplici cose inanimate.

11 Se siete convinti, come me, che il caso non esista, quando incontrerete le fotografie di Massimiliano Tappari non avrete più dubbi. Il mondo significa e si organizza in relazioni di causalità più che di casualità, solo che in pochi le sanno vedere.

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45 Mi chiedo quale contributo abbiano avuto le finestre delle aule scolastiche sulla carriera di certi artisti. Le cose più interessanti si manifestano durante le lezioni barbose, negli intervalli, nei momenti di ozio. Perché bisogna ingannare l’attesa? Cosa ci ha fatto di male? Occorrerebbe celebrare le pause, i corridoi, le anticamere, i passaggi a livello chiusi, gli ascensori, i cartelli “torno subito”, le caffettiere, i bollitori del tè. Vorrei dilatare questo spazio di noia produttiva, vorrei edificare una immaginaria sala di disattesa in cui il caso, l’errore, le intuizioni, siano i miei migliori alleati. Bisogna darsi tempo per vivere il presente. Presente inteso come tempo, ma anche come regalo.

13 Celebrare le pause, ecco cosa dovremmo imparare davvero! Io, che non riesco a concedermi tempo presente da sola, non vedo l’ora di avere tempi “morti” o meglio ritrovati, tempi gratuiti in cui guardare o anche solo pensare. Peccato non avere la paraidolia ma non si può pretendere tutto, basterebbe riappropriarsi della possibilità di usare spazio e tempo in maniera del tutto inconsapevole!

14 Mi sono necessariamente chiesta che tipo di pubblico possa incontrare questo libro. Me lo devo chiedere sempre soprattutto perché è una delle prime cosa che mi chiedete e fa parte del fornire, nel mio piccolissimo, un servizio di qualche natura verso i libri e verso i lettori. Ebbene questa è una scrittura al limite anche dell’aneddoto che credo potrebbe e dovrebbe incontrare lettori anche dalla primaria in su. Ad ognuno anche solo un pezzetto di vita dell’infanzia del fotografo in cui ritrovare magari un pezzetto della propria infanzia presente ma soprattutto incontrare una possibilità di scrittura autonarrativa sicuramente inedita rispetto a quanto proposto di solito.

15 Due cose Infanzia di un fotografo lascia, innanzitutto, tra le righe, oltre e al di là dei singoli pensieri, una possibilità di esistenza e di scrittura: quella di poter vedere in maniera diversa ciò che ci circonda, e di poterlo raccontare! Un libro che è una testimonianza di un possibile originario rapporto con il mondo e anche con le parole.

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