Per un approccio immaginario dell’arte
Corso in presenza
Domenica 7 novembre
Costo: 80 euro
Posti: 20
Il corso può essere acquistato via bonifico intestato a Roberta Favia iban IT79R0760102000000055541494 o con carta del docente producendo un codice per acquisto generico on line e scrivendomi a [email protected]
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Raccontare un quadro?
Uno sguardo immaginario sull’arte
“Una sedia, è una sedia. Insomma, dipende. Dipende da come la si guarda.” Così comincia il primo testo di Storie di quadri a testa in giù. Testo che dice semplicemente: ci sono tanti modi di descrivere il mondo. Dal geometra al filosofo, passando per il fisico, il commerciante, o il pittore, ciascuno ha una sua griglia di lettura, un proprio discorso. Lo stesso vale per il creatore di storie (possiamo dire: lo scrittore). Vede il mondo attraverso il filtro della fantasia, nutrita d’emozioni, ricordi, sensazioni, sogni e chimere. Perché non utilizzare questo sguardo per interpretare le opere d’arte?
“Immaginare” un quadro significa lasciar agire la propria sensibilità, dare libero corso alle associazioni mentali, e poco a poco organizzarle in una narrazione.
Gli stimoli sono variati: gli elementi dell’opera d’arte, ovviamente, forme, colori, linee, figure. Ma anche la luce che la illumina, i rumori che le stanno attorno, la vita che le trasmettono gli spettatori.
Perché, e questo l’ho scoperto durante la scrittura di “Storie di quadri a testa in giù”, la nostra percezione di un’opera d’arte dipende dal momento in cui la si vede, dagli esili legami che si creano tra l’opera e gli altri quadri o sculture che gli stanno vicini, e del “disturbo” creato dai
movimenti degli altri visitatori. In realtà, un quadro o una scultura non sono mai immobili, paralizzati. Ci trasformano, ma noi in cambio li trasformiamo interpretandoli e “vivendoli” ogni volta in modo diverso.
Raccontare un quadro permette di captare e organizzare il puzzle d’impressioni suscitato dalla vista di un’opera d’arte, in un momento preciso, in un ambiente dato. E la diversità delle strutture narrative permette di dare al racconto la forma adatta. Il Doppio ritratto di Sofonisba Anguissola invita ad immaginare il doppio monologo di una coppia immobilizzata in posa, ogni personaggio racchiuso nelle proprie emozioni. Solo la mano di lui appoggiata sulla spalla di lei suggerisce un timido dialogo.
La notte strana, attraversata dal mistero, dell’Utterwalder Grund, dipinto da Caspar David Friedrich, risveglia alla memoria il repertorio delle antiche ninnananne, cupe e inquietanti. Questo quadro, lo si canta a voce bassa, e si fanno ballare i demoni nascosti che lo popolano. Davanti alla Bambina di campagna di Egon Schiele, prima di tutto si resta muti, per entrare a poco a poco nel silenzio rabbuiato nel quale lei è si è rinchiusa.
Sì, ci vuole questo momento di silenzio prima di elencare una ad una le domande che ci poniamo: è triste questa bambina? Ha paura? E’ stanca? E se taciamo ancora, lei risponde. Senza parole. E, leggermente, il suo viso rabbuiato, è illuminato per un secondo da un sottile sorriso.
A volte, le opere d’arte agiscono più lentamente, più segretamente. Ed è molto tempo dopo l’incontro con loro, che generano, mischiandosi ad altre immagini, altre emozioni, storie che si costruiscono dentro noi, a nostra insaputa. Per me, questo accadde con Belle, un racconto fantastico scritto anni dopo aver ammirato nei musei belga i quadri di James Ensor, in particolare l’Autoritratto con maschere. Ho scritto Belle senza essere cosciente che la strana festa conclusiva della storia era ispirata dalle mascherate di Ensor. Solo quando ho casualmente rivisto il quadro in una monografia del pittore fiammingo, ho capito, all’improvviso, come in un flash, che la mia fantasia aveva organizzato in una narrazione tutto quello che avevo vissuto con l’universo dell’artista.
Perché, non si vede soltanto un opera d’arte. La si incontra, ed è un momento della nostra vita. Senza saperlo, la portiamo con noi, e arricchisce il nostro vocabolario sensoriale, emozionale. Raccontare un quadro, dunque, significa farlo uscire dal museo o dalla mostra, e restituirlo alla realtà da cui è nato.
Bernard Friot