In cammino. Poesie migranti

Oggi

Non puoi fare qualcosa ieri.

Non puoi fare qualcosa domani.

Puoi solo fare qualcosa adesso.

Puoi ricordare qualcosa di ieri.

Puoi progettare qualcosa per domani.

Puoi fare qualcosa solo adesso.

Quello che hai fatto ieri

può aiutarti a decidere cosa fare adesso.

Quello che hai fatto ieri e fai adesso

può aiutarti a progettare cosa farai domani.

Ma puoi fare qualcosa solo adesso.

Oggi quello che posso fare è raccontarvi di questo libro che mi permette di ricordare qualcosa di ieri per aiutarmi a progettare cosa farò domani.

In cammino. Poesie migranti di Michael Rosen con le illustrazioni di Quentin Blake, la traduzione è di Roberto Piumini, edito da Mondadori, è una raccolta di poesie di intensità rarissima ed anche di sperimentazione importante che si dipana tra forma e contenuto.

La raccolta è divisa in 4 parti: Famiglia e amici, La guerra, Gli emigranti in me, Di nuovo in cammino. Ciascuna ospita un numero variabile di poesie tutte autobiografiche e al tempo stesso universali, tutte che ruotano attorno ad un elemento: di primo acchito si direbbe che ruotano attorno alla shoah, e anche dalla composizione della raccolta è evidente che così è, e tuttavia credo che il nucleo poetico di fondo – così come anche espresso nella prefazione che diventa davvero importante in questo libro – delle poesie di In cammino sta nel racconto dell’identità di un popolo migrante. Un’identità in cui l’essere migranti, transeunti, incerti nello spazio e nel tempo, con tutto ciò che di tragico questa condizione esistenziale può comportare, costituisce il contesto Storico e umano in cui inserire almeno una parte della lettura della Storia ebraica e della Shoah in particolare.

Sono anni che maneggio questo libro e solo ora ho deciso di provare a dargli voce. Ho atteso così tanto perché se da un lato questo è un libro che si impone e non ti lascia più – con degli alti e bassi ma insomma se lo leggerete lo proverete sulla vostra pelle quello che sto provando a dire – dall’altro è un libro perfettamente esplicito, concluso, completo, pieno del suo essere. Tanto che davvero non necessita di alcuna altra mediazione se non la propria stessa voce.

Ho deciso invece finalmente di portalo con me qui con voi, perché non credo, o almeno ho questa impressione, che il libro sia molto conosciuto ed usato e questo è davvero un peccato grande e quindi mi è parso doveroso fare quello che devo fare oggi e che ogni giorno faccio: usare la mia piccola voce, per quel poco che posso, per farlo conoscere di più, per fomentarne la lettura e direi proprio spudoratamente l’uso in casa e in classe.

Lasciamo stare i gli schermi, i video, i film (vanno tutti bene ma devono essere usati in un certo modo e nella stragrande maggioranza dei casi non lo sono e vi posso garantire che parlo con una qualche cognizione di causa), proviamo ad entrare in punta di piedi nella Storia e nell’incontro con una identità di popolo, con la poesia, una poesia che grazie alla lingua, al tono scelti da Rosen (l’autore che tutti siamo abituati a identificare con il capolavoro di A caccia dell’orso) ed anche grazie alla sua lontananza anagrafica da ciò che racconta in poesia, prendono un taglio non solo particolarmente lieve ma anche trasversale che risulta perfetto per l’approccio con bambini e ragazzi.

Le poesie di Rosen sono altresì componimenti dalla fortissima impostazione prosaica, alcune sembrano, e sono, delle lettere, dei piccoli racconti famigliari messi in versi, rarissimamente incontriamo la sintesi e anche la sincope di certe composizioni poetiche. Chissà perché penso a Quasimodo, a quello che hanno fatto studiare a scuola della sua autobiografia poetica associata alla guerra. Ecco sarebbe proprio bello provare ad accostare queste forme di poesia diverse, diverse per scelta stilistica, per lingua, forse persino un pochino per contenuto, ma con dei punti di contatto più che sufficienti: la spinta autobiografica, la guerra sullo sfondo, due identità distinte ma che danno voce a se stesse: Quasimodo per sé, Rosen invece, in qualche modo, dicendo io dà voce ad un intero popolo di migranti da sempre e speriamo non per sempre.

Vi lascio con due poesie che io ho ritenuto particolarmente significative per rappresentare sia per forma che per contenuto quel poco che ho provato a dirvi di questo libro, sperando che sia stato sufficiente a convincervi che potete rinunciare a molto, per fare poesia così come per fare Storia, ma non a questi componimenti in cammino…

Scheletri

Mio padre era a Berlino nel 1946

e il suo vecchio amico David

diceva che un sio amico

era al museo di Storia Naturale di Berlino,

e si chiedeva se fosse ancora là.

In quei giorni

Berlino era sotto trenta centimetri di neve,

le strade coperte di neve,

quasi nessuno le percorreva.

Quasi non si vedeva dove andavano.

Mio padre dice di aver camminato per ore

fra mucchi di neve e macerie di bombe

intorno a enormi crateri nella terra

sotto muri sbilenchi.

Neve dappertutto.

D’improvviso, s’è trovato di fronte giganteschi scheletri nella neve.

Sul vecchio Museo di Storia Naturale

era caduta una bomba.

C’erano scheletri di dinosauri

dritti in piedi nel nulla.

Grandi ossa e teschi

spuntavano nella neve

in mezzo a mucchi di calcinacci

e vetri rotti.

“Mai dimenticherò

quegli scheletri di dinosauro”

papà diceva.

Nemmeno io li ho dimenticati…

anche se non li ho mai visti.

Mai più

Diciamo: “Mai più”.

Ma

quando i potenti puntano

in una direzione

quando tante menti puntano

in quella direzione

quando anche i fucili e le bombe

puntano in quella direzione,

può accadere di nuovo.

Accade di nuovo.

E’ accaduto di nuovo.

Può essere furibondo e caotico.

Può essere calmo e metodico.

Può cominciare con le leggi.

Può cominciare senza.

Coloro che lo fanno

possono essere convinti

di salvare il paese.

Coloro che lo fanno

possono essere convinti che stanno solo riprendendosi

ciò che è loro.

Ecco perché

può accadere di nuovo.

Accade di nuovo.

E’ accaduto di nuovo.

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