Il sasso dal cielo

Ho per Jon Klassen semplicemente una passione ed una preferenza spudorata che non mi vergogno a confessare qui con voi, solo pochissimi altri autori hanno questo potere su di me. Jon Klassen può godere di un’amore e stima e fiducia incondizionati presso di me e questo vuol dire non solo l’immensa felicità quando esce un suo nuovo libro, ma anche vuol dire che mi tremano le vene ai polsi all’improbabile ma pur possibile ipotesi che sia una delusione al cospetto delle stratosferiche aspettative.

Ora, Il sasso dal cielo è qui, con me, finalmente, è ultimo libro di Jon Klassen edito in Italia, il marchio è quello di Zoolibri, e ora posso dire che Klassen ha colpito e mi ha colpita ancora una volta, stupita persino, in alcuni passaggi, e adesso provo a spiegarvi il motivo.

Se avete presente quella che io ormai amo chiamare la “trilogia del cappello” che comprende Questo non è il mio cappello, Voglio il mio cappello e Toh un cappello potremmo forse dire che questo albo nuovo, benché il cappello non assuma il ruolo di protagonista ma di presenza imprescindibile non protagonista, continua quel tipo di sperimentazione di Klassen. In particolare Il sasso dal cielo mi pare strettamente imparentato con Toh un cappello che forse è l’albo meno conosciuto della “trilogia”. Si tratta di una parentela formale prima anche che di contenuto: tralasciando che la protagonista principale di Il sasso dal cielo è una tartaruga, così come era in Toh un cappello (chissà forse si tratta proprio di una delle due e allora potremmo legittimamente chiederci l’altra amica dove sia finita) la principale similitudine tra i due libri sta nella costruzione per capitoli, nella segmentazione della storia per fasi cronologicamente diverse, successive, tutte ambientate nel medesimo luogo. Una specie di lungo piano sequenza a camera fissa in cui però abbiamo degli stacchi temporali. Questi i capitoli del racconto dell’albo:

1- il sasso

2- la caduta

3- il futuro

4- il tramonto

5- non c’è più posto

Tutta la narrazione ruota attorno ad un luogo, il luogo preferito dalla tartaruga in cui cerca di convincere il suo amico a raggiungerla. Ma il suo amico ha una brutta sensazione rispetto a quel posto e cerca a sua volta di attirarla verso il proprio posto preferito. Il posto preferito della tartaruga ha un fiore, quello dell’armadillo ha solo una piantina, tuttavia la tartaruga attratta dall’armadillo e poi dall’arrivo anche del serpente si decide ad andare verso il posto preferito dal suo amico ed ecco che appena si sposta dove un attimo prima c’erano lei e il fiore piomba dal cielo un enorme masso.

Nel secondo capitolo la tartaruga è rovesciata a fianco al sasso il che ci fa ragionevolmente supporre che abbia cercato di arrampicarcisi per ritrovare forse il suo posto preferito, chissà…non accetta alcun tipo di aiuto e quindi per l’intero capitolo resta a pancia in su accanto al suo masso e al suo amico armadillo che le si addormenta vicino.

Il terzo capitolo costituisce un vero e proprio colpo di scena, non solo perché la tartaruga e l’armadillo si trovano entrambi sopra il sasso, cosa ci stanno facendo? Fantasticano sul futuro, chiudono gli occhi e vedono nel futuro una creatura fatta di un solo occhio e 6 zampe che dove poggia lo sguardo brucia tutto. Non esattamente una visione idilliaca di futuro e nemmeno un buon pensiero da fare in un posto che continua ad essere considerato tanto bello!

Il tramonto, quarto capitolo, è un tempo narrativo di passaggio in cui l’attesa si ferma e sfida la pazienza del lettore: armadillo e serpente poggiati al sasso si godono il tramonto, la tartaruga (che è un po’ dura d’orecchi) si avvicina loro per sentire cosa le stanno dicendo ma loro stanno solo dicendo di star contemplando il racconto. Se uno volesse studiare come si ferma il tempo e come si prende tempo e allena e rafforza la tensione in una narrazione potrebbe senza problemi studiarsi questo capitolo di Klassen.

Ed eccoci al quinto e ultimo capitolo di narrazione intitolato Non c’è più posto. La tartaruga si allontana dai suoi amici perché pensa non si sia posto per lei vicino al sasso, se ne va dunque vicino alla piantina che nel primo capitolo le aveva salvato la vita, ma da lì non riesce a dire la sua frase ad assetto agli amici “forse non tornerò mai più” e per farsi sentire bene prima della sua uscita di scena teatrale gli si avvicina tornando verso il sasso. Ed ecco che proprio allora ricompare la visione dell’occhio del terzo capitolo, eccolo che prende la mira guardando i tre animali, eccolo che diventa tutto rosso (se tanto mi da tanto si sta preparando a annientarli con il suo sguardo bruciacchiante) ma…

La fine scusatemi ma non ve la svelerò mai e poi mai 😂.

Dovete leggere il libro se la volete sapere!! Oppure rosolerete nella curiosità ma da me non uscirà un solo indizio!!

Che cosa è questo albo?

Mah, io ci vedo, partendo dal basso, una narrazione ironica sul tempo, del destino, sulle conseguenze, un ragionamento ironico su quello che ci può capitare più o meno metaforicamente sulla testa e da un lato sulla impossibilità del controllo degli eventi e dall’altro una fiducia ironica nella casualità dei fatti che si avvicina più alla predestinazione che non alla logica.

Un Klassen più cupo degli altri?

Sì, credo proprio di sì, anche i toni della palette di colori sono più scuri. Ma si tratta di una cupezza giocata con ironia, senza sarcasmo, con una logica ferrea che nella sua totale incontrollabili degli eventi salva la tartaruga e i suoi amici e nel salvarli chiude il loro mondo e in qualche modo li mette a riparo.

Che sia una premonizione? Vedetela come volete, Klassen il suo segno, e più d’uno mi pare l’abbia dato, per tutte le letture più profonde, più filosofiche vi lascio liberi di sperimentare ma soprattutto vi auguro la riuscire a recuperare una sana lettura ingenua che vi faccia sorridere e sospirare di sollievo per questa tartaruga che non trova pace.

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