Povero Amleto

Davvero, se a qualche bambino o bambina raccontassimo per filo e per segno la storia di Amleto credo che l’unica considerazione che ne verrebbe fuori è “povero Amleto!

E Povero Amleto è il titolo di questo piccolo bellissimo libro di Barbro Lindgren e Anna Hoglund edito da Iperborea con la traduzione di Giola Spairani.

La storia è proprio quella dell’Amleto di Shakespeare ma raccontata in estrema sintesi. Una sintesi che non è solo condensatrice dei contenuti della tragedia, ma anche una sintesi emotiva, e qui sta la sua forza più grande.

I personaggi non sono esseri umani ma animali, Amleto è un agnellino, la madre un coniglio, il marito della madre un topo, Ofelia e suo fratello sono volpi. Detto questo però i personaggi mantengono i medesimi ruoli della tragedia shakespeariana e nulla di essa viene edulcorato, anzi se possibile la parte tragica e violenta viene amplificata dall’accelerazione della narrazione che si apre, si sviluppa e si chiude in esattamente 26 micro frasi dove la paratassi regna assoluta.

Guarda Amleto.

Amleto non contento.

Mamma di Amleto cattiva.

Papà di Ampleto morto.

Questo l’incipit che oltre a non lasciare nulla di sottinteso ci fa immediatamente capire il senso del titolo: povero Amleto, già solo incipit basterebbe per renderlo tale e tuttavia siamo solo all’inizio di una serie di tradimenti ed uccisioni.

Lo so che vi state domandando: ma che senso ha mostrare tutto questo a un bambino? Oppure: ma perché un libro così triste?

Non ho una sola risposta specifica a riguardo ma posso dire diverse cose in “difesa” di questo librino:

1) il tutto è talmente accelerato e portato alle estreme conseguenze (che sono quelle reali della tragedia originale) da scaturire un effetto comico. La velocizzazione è uno degli espedienti del ritmo comico e in questo caso possiamo avere un effetto straniante e comico di questa tragedia pazzesca capitata al povero Amleto creata dal ritmo concitato e dalla paratassi quasi telegrafica del testo.

2) nonostante le tante uccisioni il ritmo accostato alle illustrazioni nette, pulite e apertamente “finte” accompagnano il lettore con serenità in questa storia cupa. Le crocette al posto degli occhi dei personaggi a significare che sono morti, la disposizione nella pagina, l’alternanza di testo e immagine, tutto contribuisce a togliere peso alla tragedia.

3) questa storia ha il sapore ancestrale delle fiabe classiche in cui la morte c’è e non si nega ma è giocata su un piano, in questo caso, talmente distaccato e distante (grazie anche al tipo di narrazione “striminzito” da non creare alcun tipo di turbamento, anzi da strappare un sorriso). Lo so, abbiamo sempre detto che i libri per bambini devono chiudersi con la catarsi e qui di catarsi non c’è manco l’ombra ma la storia resta distanze, non prevede immedesimazioni o altro, proprio come a teatro si lascia guardare ed è ripulita da tutti questi aspetti strepitosi del “vero” Amleto che ci interrogano sulla vita e sull’esistenza e che proprio non sono ancora adatti al pubblico dei piccoli lettori e piccole lettrici.

Potrei aggiungere altri buoni motivi ed elementi ma qui mi fermo perché non posso allungarmi troppo e mi preme arrivare alla chiusura del libro.

In Amleto, si sa, muoiono tutti e questa tavola finale accompagnata dal testo è allo stesso tempo spiazzante e quasi ironica per la sua tragicità esibita al massimo.

Strepitoso il finale “Adesso tutti morti. Buona nanna!”

E mestre continuiamo a domandarci se la buona nanna è per il lettore che chiude il libro e magari va a nanna davvero, o per i protagonisti morti non possiamo non pensare al passaggio topico essenziale dell’Amleto in cui morire è dormire e forse sognare… E qui si chiude un cerchio narrativo perfetto che un’unica domanda mi lascia aperta: ma come hanno fatto ad immaginare un libro come questo? E mentre la risposta vera è chiusa solo nel genio degli autori, l’unica risposta che mi do io a questa domanda è “grazie!”. In qualunque modo ci siano riusciti sono grata che questo libro esista e che possa arrivare tra le mani dei bambini… non ci resta che bypassare le perplessità e le censure degli adulti!

To die, to sleep – 
To sleep, perchance to dream – ay, there’s the rub,
For in this sleep of death what dreams may come […]

p.s. non vi sfugga, vi prego, la tavola in cui Ofellia galleggia nel fiume citazione diretta di dell’intramontabile quadro di Millais (perché anche così si inizia a far entrare l’arte nell’orizzonte visivo dei bambini e delle bambine!)

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