Negli occhi di Luna i falò
Negli occhi di Luna, i falò di Luigi Dal Cin edito da Rizzoli è un romanzo che colpisce per la sua forma, ed anche per il suo contenuto, un romanzo che spero incontrerete e chissà che non lo incontriate proprio grazie a questa piccola recensione…
Negli occhi di Luna, i falò è un libro ambientato nelle terre di Pavese e alla sua opera ispirato, quel Cesare Pavese che ne La luna e i falò ripercorse la propria adolescenza, ed è proprio da lì che prende materia, forma e persino alcune frasi la storia di Anguilla, il ragazzo protagonista del romanzo di Dal Cin.
La storia ci racconta di una lotta con le proprie origini, con il proprio padre, e con la ricerca della propria identità che Angù intraprende in un’estate dalla nonna, nel paese di San Stefano Belbo. Anguilla è un ragazzino come tanti a cui accade di chiudere l’anno scolastico con un’insufficienza in matematica solo che il padre di Anguilla è un imprenditore che sulla propria bravura in matematica ha costruito la propria carriera e fortuna aprendo uno studio di progettazione tanto fortunato da aprire una succursale in America. Il futuro e il destino di Angù è segnato e deciso, passerà l’intera estate (e nell’ottica del padre anche gli anni successivi) chiuso in casa a studiare matematica a testa bassa sui libri per onorare la carne da cui proviene, quella del padre. La “punizione” di Anguilla però non si mette in pratica in città a Torino bensì nelle langhe, dalla nonna diventata ex bibliotecaria ormai cieca che è l’unica che riesce a vedere nel cuore del nipote. Anguilla e la mamma passeranno tra le colline l’estate in cui finalmente il ragazzo, forte dell’amore della nonna, delle parole di Pavese che ritroverà in un libro datogli in lettura dalla prof di lettere (guarda caso La luna e i falò), e del suo amore, corrisposto, per Luna, troverà la forza e le parole per contrastare i progetti paterni.
La storia, a grandi linee, senza anticipare le avventure ecc. è qui ma, naturalmente, se siete su queste pagine ormai lo sapete, il libro ha il suo potere per come è scritto ed in effetti la particolarità di questo libro sta nella costruzione della lingua, nella sintassi, nel fluire di una scrittura vicinissima al parlato in cui discorso diretto e indiretto si fondono in una libertà che rafforza la potenza della focalizzazione interna con cui il romanzo è scritto. Lo dice molto chiaramente l’autore nella bella intervista rilasciata alla fondazione Cesare Pavese con cui ha collaborato per “entrare” nel mondo di Pavese prima di scrivere quello che sarebbe diventato Negli occhi di luna i falò.
Per scrivere Negli occhi di Luna, i falò ho utilizzato uno stile che vuole rispecchiare la ricerca pavesiana di un linguaggio vivo, vicino al parlato. E come Pavese ha preso a riferimento la letteratura americana del suo tempo – in cui appunto lo stile nasceva dalla lingua parlata, ne seguiva le movenze e contribuiva ad arricchirla – così, con le stesse finalità, ho cercato di prendere a riferimento la letteratura americana del nostro tempo.
Aprite la prima pagina di Negli occhi di Luna, i falò e lasciatevi perdere nella punteggiatura, da un dialogo senza delimitazioni sintattiche che ci porta istantaneamente in medias res, all’interno non della narrazione bensì della relazione tra il protagonista e il padre.
Quanti ragazzi e ragazze si sentono e si sono sentiti nel passato schiacciati dalle prospettive genitoriali? Paterne in particolare? Quante vite hanno preso la strada che non avrebbero voluto? Quanto è importante che invece si trovi la propria strada?
Ed in tutto questo in Negli occhi di Luna, i falò ci sono la figura, la lingua, le parole, persino la relazione con il padre e con i luoghi di quel Cesare Pavese che troppo spesso si incontra a scuola con quella distanza abissale che non riesce a parlare ai giovani lettori e lettrici dei nostri giorni.
Vi lascio leggendovi l’incipit che sono sicura vi catturerà, 3 pagine, un’intero capitolo, e non solo un punto fermo. Come mi piacerebbe che a scuola si dicesse che questo si può fare, che dopo aver imparato a padroneggiare la punteggiatura la si può reinventare!! Lo mettiamo tra i desideri futuri?
p.s. non ho accennato alla figura della madre che resta in ombra per tutta la narrazione ma, insomma, ve la lascio scoprire, il nodo di Angù, come quello di tutti noi, è lì chiuso nelle sue origini, geografiche e fisiche, nel nodo tra madre e padre che la nonna libera e scioglie.