Jefferson

Jefferson è l’ultimo romanzo di Jean-Claude Mourlevat edito da Rizzoli con la traduzione di Bérénice Capatti e le illustrazioni di Antoine Ronzon, e diciamo che questa informazione dovrebbe essere di per sé sufficiente a mettere in programma al più presto la lettura di questo libro.

Jefferson è un romanzo giallo in piena regola, con tanto di omicidio e falso colpevole che si nasconde e scappa per poter provare la propria innocenza scovando da solo il reale assassino. Quella che è straordinaria ovviamente è la scrittura innanzitutto, su cui torneremo tra un po’ e l’ambientazione: sì perché questo romanzo è ambientato tra il paese degli animali, un luogo in cui gli animali vivono come siamo abituati a veder vivere le persone con i vestiti, le città, i negozi ecc. ecc.; e il paese degli umani, a soli 700km di distanza. Una frontiera separa i due paesi con una semplice dogana che sia gli umani che gli animali possono passare tranquillamente. Fin qui ci siamo ma aggiungiamo carne al fuoco, è il caso di dirlo, dicendo che nel mondo degli umani si mangiano gli animali e non sono esattamente gli stessi animali che abitano il mondo degli animali, questo probabilmente sarebbe stato davvero inaccettabile per il lettore, ma animali che non parlano e non camminano su due piedi, insomma animali che non ci appaiono come antropomorfizzati, Gilbert, il maialino amico fedele di Jefferson, ad un certo punto ne parla come di cugini disabili, uguali a lui ma in qualche modo inferiori o semplicemente più indifesi davanti allo sguardo umano.

Non ho intenzione di entrare nei dettagli della trama, piuttosto articolata, perché il giallo merita di essere scoperto man mano ma i dirò che questo elemento della macellazione degli animali è centrale nella risoluzione del caso di omicidio del tasso parrucchiere della cui accusa Jefferson dovrà liberarsi.

Ma veniamo alla scrittura e alla costruzione. Siamo di fronte ad un testo tradotto naturalmente ma facendo conto di avere tra le mani un’ottima traduzione e di avere a che fare con una lingua, il francese, che permette un lavoro sulla sintassi abbastanza fedele, non possiamo che restare colpiti dalla fluidità della costruzione narrativa, dell’armonizzazione perfetta di tutti i gli elementi della narrazione che ha una focalizzazione esterna, un narratore, non onnisciente altrimenti ci toglierebbe il gusto del giallo, che ci accompagna dall’esterno, questo d’altra parte è un romanzo in cui, la crudezza in certi tratti avrebbe davvero reso difficile una focalizzazione di tipo diverso.

Come ho avuto la fortuna di sentire dire di persona al grandissimo Mourlevat scrivere per ragazzi è come se ti affidassero un ragazzo per qualche ora, per una passeggiata e poco importa dove lo portiate, questo ragazzo, l’importante sono la lingua e i silenzi.

E questo libro è proprio così, fatto di lingua, tratti anche divertenti ed ironici, un perfetto equilibrio di tragico e persino di comico, i silenzi del non detto ed i silenzi della scrittura. Una passeggiata, rapida abbastanza perché il giallo trascina e non lascia andare il lettore, a cui affidare a occhi chiusi il proprio ragazzo o la propria ragazza alla scoperta di qualcosa di meraviglioso che è la letteratura.

Impossibile tralasciare il tema esplicito intorno a cui ruota la narrazione che è quello del trattamento, anzi del maltrattamento e dell’uccisione degli animali perché gli uomini, come dice Gilbert nel suo sfogo dopo una notte in “visita” al macello del paese degli umani, non si accontentano di quello che possono mangiare senza procurare dolore e morte.

Jefferson è uno di quei libri che si bevono d’un fiato e che non potranno in nessun modo lasciarvi indifferenti da nessun punto di vista, sia che restiamo nel senso letterale della narrazione sia che ci addentriamo in quello metaforico o addirittura stilistico.

Non mi resta che dirvi di prendervi e lasciar che i lettori e le lettrici si prendano qualche ora di passeggiata in compagnia del signor Mourlevat e delle sue meravigliose creature di carta!

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