Letteratura per l’infanzia la baby editoria?

Questioni di definizioni

E’ un dato di fatto: il non essere mai sicuri di star trovando e usando la definizione “giusta” per nominare e riferirsi al corpus dei libri che si rivolgono a bambini e bambine, ragazzi e ragazze è un dato di fatto.

Questione su cui si torna spesso nelle riflessioni critiche, di volta in volta sottolineando la bontà o la non bontà di una definizione o di un’altra.

E allora proviamo a fare una carrellata di tutti i nomi con cui questa letteratura viene chiamata? Mi aiutate ad aggiungerne altri?

Dai, giochiamo a metterli tutti insieme e vediamo quale ci piace di più di queste locuzioni usate con maggiore o minore cognizione di causa per parlare di libri rivolti ad un pubblico di piccoli e giovani lettori e lettrici!

Partiamo da quello che è forse più diffuso e chiudiamo con quello che invece mi è stato segnalato, e ringrazio della segnalazione, dalle pagine di Robinson di Repubblica di sabato 1 ottobre:

  • Letteratura per l’infanzia: forse si tratta della definizione più usata, la uso anch’io per convenzione (non che questo faccia testo certamente), benché contenga in sé qualcosa che stona ovvero il riferimento al lettore. E’ una definizione che nasce da una concezione ricezionista della letteratura che andrebbe benissimo se non diventasse, e non fosse diventata nel tempo, il motivo per cui di fatto dagli studiosi di Letteratura la letteratura per l’infanzia è considerata una letteratura di serie B, ammesso di volerla annoverare nell’ordine delle “letterature”. Curioso che spesso si senta la necessità, capita talvolta anche a me nel mio piccolissimo, di specificare “di qualità”, ovvero letteratura per l’infanzia fatta di libri di qualità, come se i libri non di qualità potessero definirsi letteratura… però vista che la confusione regna sovrana teniamoci questa specificazione che sicuramente male non fa.

  • Letteratura dell’infanzia: usata meno ma interessante la sfumatura del “del” invece del “per” anche se è come se richiamasse una forma di appartenenza, che va benissimo, purché non crei il cortocircuito che talvolta credibilmente si creare sul fatto che i libri pensati per piccoli e giovani lettori e lettrici siano scritti e disegnanti da bambini e ragazzi…. può sembrare un’ingenuità ribadirlo ma vi assicuro che ne vale la pena…

  • letteratura giovanile: è una locuzione forse un pochino desueta, anche se in molti studiosi ancora lo usano spesso. Corrisponde forse in maniera più corretta alla traduzione di Children’s literature anglosassone, io non la uso e non la amo molto, come definizione, perché in Italia l’aggettivo giovanile ha assunto nel tempo un significato che tende al negativo che lo avvicina all’aggettivo derivante: “giovanilismo”. Voi lo usate l’aggettivo giovanile? Con che accezione?

  • letteratura per i giovani: vedi alla prima voce letteratura per l’infanzia, qui cambia l’aggettivo che allontana la fascia più piccola di lettori e lettrici e continua ad afferire ad una percezione ricezionista della letteratura e forse resta più vaga (non in senso leopardiano) rispetto a infanzia e adolescenza come età di riferimento.

  • letteratura invisibile: questo il “nome” usato provocatoriamente da Emy Baseghi e Giorgia Grilli nel volume di saggi omomino pubblicato da Laterza. Si tratta di una definizione ironica pensata proprio per significare quanto la letteratura per l’infanzia sia la grande esclusa dagli studi di letteratura, siano essi di orientamento storico o critico.

  • letteratura di serie B: viene spesso usato questo termine, come il precedente, in senso ironico e polemico per sottolineare, ancora una volta, quanto i libri rivolti a bambini e bambine, ragazzi e ragazze non siano sostanzialmente presi in considerazione da chi studia la Letteratura… a questo punto mi verrebbe da dire la “Letteratura per grandi”

  • letteratura senza aggettivi: e allora non si può non ricordare questa bellissima definizione o meglio questo bellissimo riferimento di Maria Andruetto quando si appresta proprio a spiegare che non esiste una letteratura alta e una bassa, e non esiste certo in riferimento all’età dei lettori e lettrici a cui si rivolge.

  • Baby editoria: chiudiamo con questa sintesi che mi ha assai incuriosita per molteplici motivi di cui due in particolare. Primo: la sovrapposizione implicita tra il concetto di letteratura e il concetto di editoria, evidentemente non tutto ciò che è edito è opera letteraria, anzi, diciamo che una minimissima parte lo è e spero proprio che i festival di letteratura per l’infanzia. Nel trafiletto di Robinson che vedete in foto, infatti, per altro corretto nel resto del testo, è al festival Tuttestorie riconosciuto a livello internazionale per la qualità della proposta culturale. Secondo: l’uso del “baby” che, se riferito all’età dei lettori direi lascia fuori una enorme fetta di destinatari. Se invece “baby” si riferisce alla fetta di mercato editoriale che i libri rivolti a bambine e bambini, ragazzi e ragazze ricopre, mi pare quanto meno curioso pensare a una baby letteratura visto che da diversi anni l’unico settore in crescita dell’editoria italiana si conferma essere quello rivolto all’infanzia e all’adolescenza… Mah, le sintesi giornalistiche hanno sempre qualcosa di interessante su cui ragionare e c’è di che ringraziare, non vi pare?!

Giunti fin qui possiamo solo chiederci quale sia la locuzione che ognuno di noi ritiene più ricca di senso avendo cura di conoscere le sfumature e di argomentare la propria scelta.

Roba da specialisti?

Questione oziosa?

Può essere.

Tuttavia i nomi delle cose e dei concetti sono importanti e definiscono l’essenza stessa delle cose e quando si ha un dibattito del genere su una definizione vuol dire che in fondo in fondo un po’ di confusione resta e del lavoro, buon lavoro, di divulgazione, spiegazione, narrazione, promozione, c’è ancora da fare.

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