Il bambino del tram

Oggi è il 5 dicembre 2022, come sempre vi scrivo da Venezia e il mio pensiero non può non andare a quel 5 dicembre del 1943 quando ci fu a Venezia la prima deportazione di uomini donne e bambini da parte dei nazi-fascisti.

Il libro di oggi non è ambientato a Venezia ma la storia di un bambino che fortunosamente, più che fortunatamente, scampa alla deportazione mi pare adeguata per portarci col pensiero a quei giorni di un tempo poi non troppo lontano dal nostro.

Oggi vi racconto Il bambino del tram di Isabella Labate edito da Orecchio acerbo in collaborazione con Amnesty international.

La storia è quella, vera, di Emanuele di Porto – alla fine del libro potrete vedere la sua foto da anziano e quella, da giovane, della sua mamma che non ha mai più fatto ritorno – che quel 16 dicembre del 1943 a Roma venne buttato giù dal camion in cui vennero ammassati gli ebrei romani con un calcio salvifico più che amorevole della madre. Da lì, per giorni il bambino continuò a vagare senza sosta per la paura di tornare a casa e trovare ancora le truppe nazi-fasciste.

A piedi ha vagato? No, ha vagato in tram: è salito sul primo tram che passava e da lì in poi è stato letteralmente coperto dai tanti autisti e controllori de vari tram. Un passaparola silenzioso che tiene al sicuro il bambino ed anche al caldo, la notte infatti compare una coperta, di giorno compare del cibo, a sostenerlo e proteggerlo, con un calore umano che si fa sentire nonostante il silenzio e la finta indifferenza imposto dalla prudenza.

Emanuele dal tram sbircerà le vite degli altri, quelle dei bambini che non temono di essere deportati, quelle delle persone che continuano la loro vita ignorando o forse volendo ignorare che alla stazione stavano portando via 1023 ebrei che non avrebbero fatto ritorno (dalla razzia di Roma tornarono solo 1 donna e 15 uomini) e la sua mamma era tra questi. Il suo papà no ed infatti Emanuele scenderà dal tram solo quando gli faranno avere la notizia che il suo papà è tornato allo scoperto e può finalmente ritrovare suo figlio. Potremmo ragionare a lungo su cosa fu la deportazione romana sotto ogni aspetto, così come quella di Venezia, ognuna con le proprie specificità, tutte vigliacche e crudeli, tutte solo apparentemente inspiegabili e che invece vanno spiegate e raccontate una per una, città per città.

Invece qui mi preme sottolineare come funziona questo libro. Un libro con una storia così forte che, si potrebbe pensare, si lascia ascoltare e raccontare con facilità, e invece così non è: raccontare una storia, qualunque essa sia e tanto più della forza della storia di Emanuele, richiede tatto, precisione millimetrica nella scelta delle parole e del loro dialogo con le immagini, richiede pazienza estetica… ancora di più quando si tratta di una storia vera, della Storia.

Non è la prima volta che Isabella Labate si prova con questo tipo di storie, ricorderete il bellissimo Tre in tutto, ma qui accetta la sfida anche della narrazione per iscritto scegliendo un italiano che mima e riprende il dialetto e che esplicitamente gioca con la retorica dell’anafora e non solo. Una retorica necessaria naturalmente alla narrazione che come sempre viene accompagnata dalla grafica del testo che si allarga e si restringe e si prende più o meno spazio nella pagina aumentando il senso di dialogo serrato tra testo e immagine.

Quando e come leggere questo libro?

Sempre, ogni giorno che vi passa per le mani, ogni giorno che per qualche motivo qualcuno lo tira fuori dalla libreria, non ha bisogno di occasioni o di commemorazioni né tantomeno di compassioni, ha bisogno solo di essere letto, per il resto, come amo sempre dire, il libro ce la fa da solo, lasciatelo andare e prenderà il cuore e i pensieri del lettore e della lettrice a fortificarli contro l’indifferenza che è il contrario dell’amore, come non smette mai di ricordare Liliana Segre.

Teste fiorite Consenso ai cookie con Real Cookie Banner