L’Albero di Anne

Questo post è scritto da Chiara Costantini che cura la rubrica “Un libro in cartella” ogni due giovedì.

L’Albero di Anne

Età: dai 9 anni
Pagine: 36
Formato: 20 x 30
Anno: 2015
Editore: Orecchio acerbo
Autore: Irène Cohen-Janca
Illustratore: Maurizio A.C. Quarello

Oggi in cartella “L’albero di Anne”

L’Albero di Anne – Un libro in cartella

Un primo sguardo alla copertina e il collegamento a gennaio, grigio, spoglio, freddo è inevitabile. Subito il pensiero viaggia, una fitta rete di connessioni, relazioni, inferenze. Si collega il nome Anne ad Anne Frank, da Anne Frank si pensa ai campi di concentramento, dai campi di concentramento si pensa ad Auschwitz, da Auschwitz si pensa alla Giornata della Memoria: il 27 gennaio.

Non amo ridurre un argomento a una giornata.

Il compleanno è una giornata speciale, ognuno di noi ha il suo. L’esclusivo giorno di festa per ricordare il giorno in cui si è nati. Qualcuno lo condivide con il proprio gemello. I bambini adorano il proprio compleanno. Lo aspettano un anno intero!

Tutte le altre “giornate”, personalmente, faccio un po’ fatica a starci dietro. Non mi piace minimizzare un argomento, un evento, una storia in un lasso di tempo di ventiquattr’ore. Comprendo però, che convenzionalmente, sia più pratico. A mio avviso, queste “giornate” hanno senso solo se fungono da promemoria. Quella cosa, quell’avvenimento, quella persona sono così importanti che non ci si può ricordare un solo giorno all’anno, ma quel giorno come un campanello puntuale ci rammenta che dobbiamo ricordarcene sempre. Il 27 gennaio è una di queste giornate ed è il punto da cui partire. Tutto dipende dal nostro atteggiamento, dal nostro comportamento, forse, da entrambi.

Che differenza c’è tra atteggiamento e comportamento?

Il primo è appreso, il secondo innato.
Il primo riguarda il pensare, il secondo l’agire.
Il primo è razionale, il secondo irrazionale.
Il primo condiziona le proprie scelte ed è frutto delle proprie esperienze. Il secondo è vincolato al primo, più o meno consapevolmente.
L’ideale sarebbe che ogni essere umano mettesse in atto comportamenti coerenti con i propri atteggiamenti e che questi rispettassero l’altro, in ogni situazione.
Di fatto, spesso, ci sono delle incongruenze tra i due modi di espressione. Inoltre, le condizioni ambientali e sociali alterano l’uno o l’altro. All’esponente massimo, un atteggiamento sbagliato concretizzato, può avere conseguenze gravissime e ripercuotersi sugli altri generando violenza, distruzione e morte.

A scuola mi comporto in un modo fuori in un altro. A casa mi comporto in un modo, fuori in un altro. In palestra mi comporto in un modo, in spogliatoio in un altro. Gli atteggiamenti sono comportamenti in atto. La differenza la fa non chi mostriamo di essere, ma chi siamo veramente, indipendentemente dal luogo e dalla situazione. Io confido che questo messaggio arrivi ai miei alunni più di ogni conoscenza, abilità, competenza.

Ma torniamo al libro

L’Albero di Anne – Copertina

Formato medio, copertina flessibile, dorso rosso, titolo in stampato minuscolo, sfondo in tonalità grigia tenue. Le innumerevoli ramificazioni di un ippocastano spoglio la riempiono. Qualche isolata foglia dona un tocco di colore e richiama il titolo: “L’albero” in grigio, “di Anne” in rosso.
L’Anne in questione è Anne Frank. L’albo illustrato si rivela particolarmente interessante perché la storia di questa ragazza è narrata direttamente dall’albero, un ippocastano appunto.

Perché ho scelto questo libro?

Il tema della Shoah si inserisce all’interno di una storia di antisemitismo, basata su pregiudizi e ostilità arcaiche, che culmina con il progetto di sterminio nazista degli ebrei.

Da che età è opportuno trattare l’argomento con i bambini?

Io sono dell’idea che si possa trattare qualsiasi argomento senza tabù, a patto di rispettare la sensibilità, la storia e lo sviluppo cognitivo del bambino, utilizzando un linguaggio appropriato.
Per scelta, quindi, i primi due anni della scuola primaria non ho affrontato questo tema e sono contraria a mostrare immagini cruente o film il cui unico obiettivo sia impressionare i bambini anziché far conoscere la storia.
Dalla terza ho iniziato a sensibilizzare i miei alunni sul tema e ho letto l’albo illustrato “La città che sussurrò” di Jennifer Elvgren e ci siamo interrogati sul senso del silenzio e sul suo duplice significato. Silenzio come omertà, silenzio come omissione della verità per un bene più grande.
In quarta abbiamo letto Solo una parola” di Corradini, un racconto in metafora dalla grande forza simbolica.
Quest’anno siamo in quinta e ho deciso fosse l’anno giusto per passare alla Storia vera, fatta di fatti realmente accaduti, ricostruibile grazie alle fonti scritte, orali, materiali e iconografiche.

Come?

Sempre partendo da un albo illustrato, L’albero di Anne, ma facendo qualche riferimento ai racconti contenuti nel Diario di Anne Frank e proponendo un laboratorio di Storia e Memoria che prevedeva l’analisi di autentici documenti.

Prima di iniziare a leggere ho consegnato a ciascun bambino un foglio A4 e li ho invitati a piegarlo in quattro e a spezzarlo con le mani, evitando l’uso di forbici. Poi a sua volta ciascun rettangolo a metà e tagliarlo ancora. E nuovamente. Gli ultimi ritagli andavano fatti in verticale anziché in orizzontale, in modo da ottenere 64 striscioline rettangolari. Un po’ di sana motricità fine che non fa mai male.

Durante la lettura ciascun bambino poteva annotare le parole che lo colpivano. Unica regola: una sola parola per ciascuna strisciolina.

Veniamo ora alla lettura vera e propria.

Dopo una mattinata frenetica, distratta, dal chiacchiericcio facile, prendo il libro e, finalmente, cala il silenzio. Inizio a leggere.

Nelle città di polvere e rumore,
io, per primo, annuncio l’arrivo della primavera.
In aprile si schiudono le mie gemme
e con identico slancio spuntano foglie e fiori.

Io sono un ippocastano.

Da oltre centocinquant’anni, vivo in un giardino
al numero 263 di Prinsengrancht, ad Amsterdam.
Ma una grave malattia mi fa morire lentamente.
Una piccola farfalla mina le mie foglie, che imbruniscono,
e già da luglio cominciano a cadere
lasciandomi spoglio nel cuore dell’estate.
Le muffe dilagano sul mio legno e il mio tronco rischia di spezzarsi.
Presto forse gli uomini mi abbatteranno.

E così ho deciso di raccontare quello che accadde tanti anni fa,
al numero 263 di Prinsengracht.

Questo l’incipit

Le illustrazioni sono minuziose e delicate e completano bene i testi offrendo anche nelle immagini il punto di vista dell’ippocastano.

Inizialmente il testo si trova nella pagina di sinistra e l’illustrazione a destra. Talvolta le illustrazioni per essere più incisive occupano entrambe le pagine e, il testo, viene volontariamente omesso. Le immagini seguono il ritmo del racconto e fino quasi alla fine mantengono l’alternanza testo immagine. Nell’ultima tavola però testo e immagine si invertono. Troviamo l’illustrazione a sinistra e il testo a destra come a sottolineare che il racconto è giunto a compimento.

I risguardi aprono e chiudono con delle righe verticali. Sta al lettore attribuire il significato. Possono richiamare una gabbia, sia essa quella del pensiero umano (atteggiamento) o quella materiale del campo di concentramento che non offriva via di scampo (comportamento).

La storia continua

Inizialmente l’ippocastano narra di sé, della sua malattia e del perché ci tiene a raccontare il suo ricordo. Poi inizia a parlare di questa ragazza di tredici anni: Anne, nascosta in una soffitta e lui era il suo scorcio di realtà e di speranza. L’ippocastano intervalla racconti di eventi storici, ad esempio quando furono emanate le leggi razziali o quando Anne fu deportata assieme alla famiglia al campo di concentramento di Bergen-Belsen, ai racconti di quanto Anne scriveva nel suo diario, riportando citazioni.

“Chiara, posso cercare nel diario di Anne Frank le citazioni riportate nel libro? Per vedere se ci sono davvero?”

La ricerca ha portato i suoi frutti e le sue piccole soddisfazioni, condivise con i compagni.

L’Albero di Anne – citazioni da “Il Diario di Anne Frank”

Commenti a caldo

“Bello all’inizio, poi man mano che la storia continuava si faceva più triste”
“Chiara anche la tua voce cambiava e diventava triste…”
“A me è piaciuto perché c’erano le date e i riferimenti storici. Mi sono segnato tutti i dati numerici”
“Io ho paura delle malattie e anche se so che una malattia non esiste più quando ne sento parlare mi sento un po’ male”
“Cosa significa «clandestinità»?”
“La storia è narrata dall’albero. Questo elemento fantastico aiuta a smorzare un po’ i fatti realmente accaduti”
“Cosa significa «antisemitismo»?”
“Una cosa non mi è chiara… in tutto ciò non riesco proprio a capire perché proprio gli ebrei? Cioè perché hanno scelto di prendersela proprio con questo popolo?”

A seguire…

…un momento introspettivo di riflessione, scrittura e creatività. Dopo aver trascritto le parole che lo avevano colpito o le emozioni che aveva provato durante la lettura, ciascun bambino poteva incollare le striscioline sul proprio taccuino, sino a formare il proprio “Albero della Memoria”.

Le parole scelte:

ippocastano, Prinsengracht, dono, nascondiglio, soffitta, esplosione, clandestinità, diritto, ebrei, poliziotti, male terribile, fiducia, speranza, morte, sussurro, pagina, guerra, 1942, campo di concentramento, 1944, vietato, tifo, amico, disperazione, distruzione…

Il giorno seguente abbiamo conosciuto Maria Teresa

Maria Teresa Sega, autrice del libro “Il banco vuoto”, ci ha guidato in un incontro di memoria nella storia. Partendo da un excursus storico degli avvenimenti più significativi della Grande Storia del secolo scorso siamo approdati alla Piccola Storia fatta dai racconti e dalle testimonianze di uomini e donne.
All’introduzione teorica è seguito un laboratorio di studio e analisi di documenti, vecchie fotografie, testimonianze e registri scolastici della scuola ebraica di Venezia all’epoca del regime fascista. L’incontro si è concluso con la visita all’archivio scolastico che ha sede proprio nella nostra scuola.
I miei alunni sono stati piacevolmente sorpresi e colpiti da questo compito di realtà che ha permesso loro di entrare in contatto con fonti diverse e tangibili.

A incontro concluso…

…pur non essendoci addentrati in particolari cruenti un mio alunno mi viene incontro e mi chiede:
“Chiara… posso un abbraccio? Non so bene perché… ma sento che ho bisogno di un abbraccio”
“Posso anch’io?”

Spalanco le braccia e li accolgo.
Curioso il fatto che i due “richiedenti” solitamente non siano i cosiddetti tipi da “effusioni affettuose”. Uno dei due si definisce proprio “allergico” a queste smancerie.

Eppure

Eppure penso che la nostra lezione sugli “Abbracci” sia servita perché a volte alcune parole, alcuni racconti possono essere un po’ duri seppur veri. Vanno accettati. L’abbraccio non cambia lo stato delle cose, ma infonde quel calore che ti permette di prendere un po’ di forza e sentire che non sei solo.

Il giorno seguente

Per continuare il nostro itinerario di memoria nella storia, abbiamo fatto una passeggiata per campi e calli di Venezia, sempre accompagnati da Maria Teresa Sega, alla ricerca delle “pietre d’inciampo”. Un inciampo emotivo e mentale, non fisico. Per mantenere vivo il ricordo delle vittime dell’ideologia nazi-fascista. Le pietre d’inciampo sono dei blocchi di pietra di 10cm per lato, ricoperti da una piastra di ottone posta sulla faccia superiore, solitamente collocati nella pavimentazione cittadina in prossimità di alcune porte di accesso ad abitazioni. La placca d’ottone riporta l’iscrizione del nome della persona o famiglia che abitava in quella casa o via e che, dopo la deportazione nei campi di concentramento, non vi ha più fatto ritorno.

Al rientro a scuola

Abbiamo ripreso quanto lasciato in sospeso e ci siamo fatti aiutare dalle parole di Matteo Corradini che abbiamo trovato in appendice al testo “Solo una parola”.
Per fortuna Matteo Corradini prova a rispondere anche alle domande scomode. Quelle a cui si preferirebbe non dover rispondere. Ma i bambini per capire hanno bisogno di fare domande e ricevere risposte autentiche.

Questo lavoro ovviamente non è durato un solo giorno. Ha richiesto tempo e cura. Giorno dopo giorno chi voleva poteva appuntare i propri pensieri sul taccuino. Alla fine ci siamo ricavati un tempo per la condivisione, perché, quando si condivide, ogni riflessione si moltiplica e l’effetto non dura una sola giornata, ma rimane per sempre.

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