L’oca e suo fratello

Ve lo confesso, è da due giorni che penso a Bart Moeyaert, o meglio non proprio a lui che non ho la fortuna di conoscere ma ai suoi libri, alla sua scrittura.

In particolare è da due giorni che sto pensando a L’oca e suo fratello di Bart Moeyaert, appunto, cadenzato dalle illustrazioni di Gerda Dendooven e la traduzione di Laura Pigantti edito da Sinnos in una edizione bellissima.

Cosa c’è che mi rimbalza tra i pensieri?

Provo a dirvelo: l’oca e suo fratello mi hanno portato in un mondo altro, in una delle tante galassie letterarie, questa poco praticata, a dire la verità, eccezionalmente messa in forma di libro e racconto per bambini che mi ha dato da pensare non solo sul libro e il suo autore, ma anche sul “genere” narrativo scelto. Ma, lo so, sto menando il can per l’aia, e vi assicuro che è proprio il caso di dirlo, adesso vado sul pratico e cerchiamo di capirci.

L’oca e suo fratello è una raccolta di micro-racconti, 45 per l’esattezza, lunghi una pagina o poco più, narrati in terza persona e completamente concentrati sulle due oche protagoniste, i due fratelli e l’ambiente in cui vivono. Ma il punto è che se vi mettete a leggere questi piccoli racconti vi renderete immediatamente conto, se avete il dubbio con i primi ne sarete del tutto convinti verso il 5-6 che non avete tra le mani racconti in senso letterario del termine. E allora cosa sono?

Ecco, questo è il punto: secondo me si tratta di apologhi filosofici. Piccoli racconti che a partire da poco o nulla, spesso pregiudizi legati agli animali dell’aia o sulle oche stesse, partono per rapidissime messe in scena dalla finalità filosofica implicita, naturalmente.

Ora siccome non credo proprio di riuscire a rendere l’idea lasciate che ve ne legga un paio

Il primo brano che vi propongo si intitola “L’agnello” e racconta la nascita di un’agnello e di cosa gli dice la sua mamma… un agnello, e mutatis mutandis un cucciolo appena nato, HA qualcosa di speciale o E’ qualcuno di speciale? Quanto sottile è la differenza tra l’avere e l’essere in senso esistenziale?

I racconti che qui troviamo riuniti in un volume hanno trovato questa forma, così come spiega l’autore stesso nel video che vi lascio qui di seguito, dopo ben dieci anni dalla loro uscita originaria che era avvenuta su giornale e poi su poster e cartoline, insomma sempre su formati che ben stessero con la forma brevissima e con la non continuità stretta della sequenza narrativa. Messi tutti assieme in una raccolta vi accorgerete anche di quanto e come questo tipo di costruzione narrativa si sia andata affinando e persino sintetizzando nel tempo, la scrittura diventa sempre più rapida ed essenziale, il primo racconto “Chi siamo” è lungo più del doppio dell’ultimo e ha una struttura narrativa più “distesa” in qualche modo. Più si va verso la fine del libro più i testi diventano perfetti, sintetici al limite dell’aforisma, e diventa sempre più chiaro anche l’intento che li sottende, quello, appunto della riflessione filosofica a portata di lettori di qualsiasi età.

E sì, lo so che vi state chiedendo, giustamente, se un libro del genere va bene per i bambini e le bambine e di che età. La mia risposta, per quello che vale, è sì, che questo libro è perfetto per ogni età, scalabile dai 3 anni in su perché i livelli di lettura dovuti alla sua essenza metaforica e quasi allegorica sono davvero abbordabili in modalità del tutto diverse a partire dal significato letterale, o anche da una sola parte di esso fino alle riflessioni filosofiche più ampie ed estese, un testo che potreste tranquillamente usare alle superiori prendendoci a piene mani. Rende ancora più eccezionale la costruzione della narrazione l’ironia persistente e direi più insistente che mai, nemmeno per un momento, lascia ogni singolo racconto ed ogni singolo personaggio.

Leggendo questo testo mi è venuto in mente un autore tedesco che credo sia l’unico affine per alcuni versi al Moeyaert ed è Wolf Erlbruch e pensandolo non mi ero nemmeno ricordata che uno sei libri illustrati di Erlbruch che più amo, La creazione, indovinate chi lo ha scritto?

Esatto!! Proprio lui, Bart Moeyaert!

Tutto torna, sembrerebbe.

La poetica di questo autore però continua ad apparirmi quasi imperdibile, è una autore che si pensa di conoscere e che invece ad ogni libro sorprende, trova un’altra voce, un altro stile, una nuova formula narrativa, al netto delle traduzioni, naturalmente. Eppure… eppure le linee e i tratti di congiunzione tra i libri ci sono, ma si celano bene, tra le righe dei sensi profondi o dei sottosensi se preferite, fuori dai “temi” e dalle trame, la scrittura di questo autore, sempre al netto delle traduzioni, anzi la sua poetica, viaggia più su elementi profondi e sotterranei della scrittura che sulla superficie delle sue trame o intrecci che siano. Ma mi riservo di approfondire questa cosa che mi interessa molto, e vi lascio con il testo che chiude questo eccezionale libro, eccezionale non solo per la sua bellezza ma soprattutto per come e quanto fa eccezione nella sua scrittura e creazione. Un testo che sento moltissimo, che se non l’avesse scritto lui per l’oca e suo fratello oggi avrei voluto che lo scrivesse per me, ma in fondo così è comunque, il lettore fa proprio il libro e il suo testo, e persino la volontà del suo autore, o no?

Quello che ho appena letto mi ha cambiato, lo sento. Non capita spesso ma certi libri ci riescono…

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