Tom e Pippo

I libri di Tom e Pippo di Helen Oxenbury editi da Camelozampa per la collana A bocca aperta sono tra quei libri che quando ci si rende conto che non erano mai stati editi prima in Italia si resta interdetti…

Già, Tom e Pippo, il primo Tom e Pippo combinano un guaio e il “nuovo” Tom e Pippo leggono una storia arrivano con tutta la loro perfezione e persino modernità da quello che ormai ci appare il lontano 1988 e dopo anni di assenza dai cataloghi degli editori italiani tornano finalmente disponibili grazie al lavoro della collana A bocca aperta di Camelozampa!

Dunque, Tom e Pippo sono un bambino e il suo fedelissimo amico di peluche, protagonisti di entrambi i libri che vi racconto oggi, i primi della serie che continuerà ad uscire per Camelozampa. Ma con loro c’è sempre un terzo protagonista che resta fuori dal titolo a ragion veduta… il terzo protagonista è il papà perché il gioco narrativo che costruisce la Oxenbury in questi libri è in realtà un gioco di specchi in cui padre-figlio-oggetto tradizionale diventano uno lo specchio dell’altro in una piramide di rimandi visivi notevolissima. Ma entriamo nei libri e andiamo a guardarli da vicino.

La prima cosa che salta all’occhio è l’impostazione della tavola, sempre divisa tra un sinistra e un destra, la sinistra è la tavola del testo e… dell’immagine in bianco e nero, mentre la destra è la pagina della continuità narrativa dell’illustrazione, è sempre a colori e apparentemente porta avanti lei il filo portante della narrazione iconografica.

Lasciando da parte il testo, il cui posizionamento è fondamentale all’interno delle tavole (fa molta differenza che sia stato messo sempre nella tavola di sinistra) il fatto che ci siano due “livelli” iconografici, uno in bianco e nero e uno a colori, è estremamente interessante. Qual è la differenza tra i due tipi di illustrazione?

Se avete tra le mani i libri e provate a porre l’attenzione a questo elemento vi capiterà di osservare che le illustrazioni in bianco e nero rappresentano l’antefatto di ciò che accade nell’illustrazione a colori, che siamo portati a percepire come principale in qualche modo. Nell’illustrazione di sinistra abbiamo di fatto ciò che succede prima della illustrazione di destra e questo non solo in termini temporali, ma spesso anche in termini causali.

Ed è in questa compresenza dell’elemento temporale e causale che emerge tutta la complessità della costruzione di questi testi che sono pensati per bambini e bambine piuttosto piccoli e proprio per questi devono darsi in tutta la loro perfezione estetica e comunicativa.

A sinistra abbiamo ciò che porta Tom ad agire come agirà a destra ma anche abbiamo il papà di Tom nelle situazioni che poi permettono l’esplicitarsi della relazione e della reazione alle richieste e alle azioni di Tom.

E Pippo in tutto questo cosa fa?

Pippo fa il terzo su cui Tom può sperimentare ciò che su se stesso ha provato mettendosi dall’altro punto di vista: ovvero Tom tenderà a fare con Pippo ciò che il papà di Tom ha fatto con il figlio.

E non è proprio così che funziona?

Siamo fatti di emozioni, di relazioni e di tantissimi fondamentali neuroni specchio di cui sin troppo spesso ci dimentichiamo!

E, questo è ancora più interessante, Tom è pronto ad imitare il papà nel bene e nel male, come è giusto che accada, e questo è un papà “normale” che si arrabbia, si scoccia, che non è sempre esattamente la personificazione dell’eidos paterno perché quella che la Oxenbury mette in scena è la vita, non la finzione!

Tom e Pippo sono libri che mi piace definire mimetici, non tematici: non affrontano un tema ma mimano la realtà, la riproducono in favore del lettore e della lettrice che così si ritroveranno coinvolti in prima persona nella storia di Tom e Pippo che in qualche misura (a volte anche per contrasto) è anche la loro storia che si va dipanando giorno dopo giorno.

E il testo?

Aaaa beh, il testo richiederebbe di stare qui altre ore a ragionare di quanto possa essere limato e pulito e perfetto un testo per un albo illustrato per bambini e bambine, un testo che sa tacere quando è necessario e limitare ciò che dice a ciò che serve dire senza dimenticare che non è lì da solo a fare tutto lo sforzo narrativo bensì ci sono almeno altri due livelli di linguaggio pronti a raccontare la complessità di questa storia.

Less is more, come sempre.

Semplice è più difficile di complesso e la semplicità rappresenta, in letteratura, e non solo, la perfezione che pochi sanno raggiungere come la Oxenbury e non c’è bambino che non meriti di avere tra le mani quanto mi meglio ci sia!

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