Mille briciole di luce
Mille briciole di luce di Silvia Vecchini edito da Il Castoro è un romanzo particolare, che mette insieme elementi diversi che riguardano tanto la struttura narrativa quanto la sostanza narrativa.
Un romanzo su cui secondo me vale la pena soffermarsi, mi auguro qualcuno lo potrà fare con i lettori e le lettrici giovani, io qui ci proverò un pochino con voi, alla ricerca dei tanti tratti che riescono nella loro complessità e complessa intersezione a restituirci una narrazione lieve e semplice come solo la grande scrittura sa fare: levigare fino allo spasmo, limare le parole ma anche le strutture e persino gli intrecci. Silvia Vecchini è autrice a tutto tondo ma per me resta sempre prevalentemente una poetessa e qui l’essenza del lavoro poetico secondo me c’è tutto, ma entriamo nel libro e vediamo cosa accade.
Questa è la storia di Danni figlio di un padre meccanico e di una mamma mancata per malattia in giovane età, una mamma che faceva l’aiutante parrucchiera nel paese ma che da giovane, in Romania, era una promessa della ginnastica artistica. Danni, invece, è un fan scatenato e anzi un aspirante atleta della ginnastica ritmica, che molti pensano sia piuttosto simile all’artistica (io per prima) ma così non è per molti motivi primo dei quali, e che riguarda Danni in prima persona, che la ginnastica ritmica non è uno sport in cui i maschi siano ammessi in Italia. Danni ha due amici più che fraterni: Ambra, atleta di ritmica che si allega e impara da Danni e che si spinge a traverstirlo da donna per farlo entrare nella palestra e fargli vedere da vicino lo spazio in cui davvero dovrebbe allenarsi; e Radu, anche lui italiano di seconda generazione studioso di pianoforte per passione e per senso del dovere, a pari grado. Ambra e Radu sono un poco più grandi di Danni e creano tra loro una relazione di amicizia interdipendente davvero interessante da seguire nel suo evolversi, è solo Radu ad accorgersi di quanto possa essere “rischioso” il gioco che Ambra e Danni hanno deciso di giocare, quello di allenarsi insieme di nascosto, di far vestire Danni da ragazza, di dargli di nascosto body e attrezzi che lui nasconde al padre…
Tutto sembra filare liscio, Danni è un ragazzo sereno che va d’accordo con tutti, solare e che non vede alcuna contraddizione in ciò che è e ciò che vorrebbe fare, ovvero la ginnastica ritmica, fino a quando subisce un’aggressione violenta di stampo omofobo (per altro delle preferenze sessuali di Danni l’autrice non ci dice mai niente e fa bene, direi che sono fatti suoi, di Danni, la sua sessualità che con tutta probabilità deve ancora scoprire, lui vuole solo fare ginnastica ritmica, al momento, tutto qui). Danni viene malmenato e da lì si rasa e capelli, per diverso tempo non va a scuola…. e non vi dico certo come va a finire perché qui si ferma la parte di riepilogo della narrazione per entrare invece nella forma narrativa che è, come sempre, quella che mi interessa di più.
Il romanzo e i suoi capitoli hanno una prevalenza narrativa ma l’intreccio, che segue la cronologia della trama, è intervallato e direi guidato quando non addirittura interpretato da due elementi essenziali e curiosi che ci dicono che qui c’è qualcosa di diverso da un semplice romanzo (senza nulla togliere alla forma del romanzo per carità): c’è il coro delle ginnaste, in poesia, c’è la divisione in atti e non in capitoli ed ogni atto è introdotto da una poesia non cantata dal coro ma che sta lì in autonomia, ognuna, per ogni atto, dedicata ad un diverso attrezzo della ginnastica ritmica: la palla, le calzette, il nastro, la fune e il cerchio che apre l’ultimo atto significando in qualche modo anche la chiusura del cerchio narrativo.
Siamo quindi in un racconto che si rifà all’antico, alla modernità dell’antico, il riferimento al teatro greco è più che esplicito, il coro che accompagnava le tragedie così come le commedie e i drammi satirici qui viene incarnato dalle ginnaste e viene da chiedersi chi sia il coreuta, il “capocoro” quello che poi in qualche modo si sarebbe “evoluto” nelle strutture narrative nel narratore, il coreuta è effettivamente qui il narratore onnisciente che racconta la storia di Danni ma è anche colui o anzi colei più probabilmente, che apre gli atti con le poesie. Chi c’è dietro il narratore e il poeta o la narratrice e la poetessa? Qui entreremmo in una questione interessante quanto complessa e che chiamerebbe in campo anche l’autrice e mi fermo e vi segnalo che ne parleremo nella diretta Instagram del 13 marzo all e 18.00, ma mi piaceva comunque mettervi la pulce nell’orecchio: quando leggerete il libro, o se l’avete già letto quando ci tornerete su, prestate attenzione alle voci che si muovono all’interno.
Se entriamo nella struttura narrativa da un altro punto di vista, e la sciamo lì la focalizzazione e l’intreccio allora non possiamo non notare il dipanarsi dell’identità dei personaggi che si evolvono nel corso del romanzo, in cui certamente c’è anche l’elemento del romanzo di formazione… i personaggi che più sorprendono per costruzione e per evoluzione, secondo me, sono tre personaggi secondari: il padre, Rosa, la parrucchiera con cui lavorava la madre di Danni e che settimanalmente e inesorabilmente fa da timone a questo ragazzino in cerca di se stesso (e della madre) e Lavinia che vi lascio scoprire chi è.
Chiudo? Si chiudo perché non la voglio fare lunga, ultima nota e giuro vi lascio al libro…
Non so se l’ho sentita solo io ma ho visto un’affinità, nella costruzione narrava innanzitutto, tra Mille briciole di luce e Le parole possono tutto. Solo a posteriori mi sono resa conto che le posizioni che Sara, la protagonista di Le parole possono tutto disegnato da Sualzo, assume per imitare le lettere ebraiche possono essere interpretate come passi di ginnastica ritmica, e solo a posteriori mi sono resa conto che gli strumenti della ginnastica, qui messi in poesia, scandiscono gli atti e la narrazione alla stessa maniera in cui le lettere ebraiche scandiscono quella del graphic novel. Cosa vuol dire questo? A ognuno/a di voi l’interpretazione che vorrà dare, io mi limito a incuriosirmi e magari a suscitare curiosità quando vedo strutture che tornano, formule che si ripetono e che mutano e cambiano di senso e significato ma che evidentemente ci stanno dicendo qualcosa del modus operandi e direi scrivendi dell’autrice.
Ciascuno ha il proprio centro, il proprio punto di equilibrio. Non sempre è una cosa con cui sei in pace. A volte è un rovello. Eppure non puoi farne a meno.
P.s. E le mille briciole di luce del titolo a cosa si riferiscono?? Beh sono metafora ma anche segno e simbolo mediati da qualcosa di mooolto preciso e fisico ma che spero scoprirete direttamente leggendo il libro!!
Questo il link all’intervista della Rai a Silvia Vecchini