Da qui si vede il mondo intero
Ci sono punti da cui si vede il mondo intero, e ci sono anche libri da cui si vede il mondo intero, almeno una parte del mondo intero… e lo so che sembra una contraddizione ma è solo da un punto di vista che si può vedere il mondo intero e quindi questa è una contraddizione in termini a prescindere, sia per chi sta fuori dalle storie che per chi si sta dentro.
Dal suo palazzone, Dee, la protagonista di Da qui si vede il mondo intero di Enne Koens edito da Camelozampa con le illustrazioni di Maartje Kuiper e la traduzione di Olga Amagliani, vede il mondo intero, o meglio vede la sua parte di mondo intero ed è da lì, dalla sua stessa posizione che ci mettiamo anche noi per guardare il suo mondo e seguirla nella perlustrazione.
Dee è una bambina di una decina di anni che da sempre vive ad un piano alto dei palazzoni popolari, ci vive con la sua mamma, una donna molto austera, sempre seria e controllata, una donna di una giovinezza quasi incredibile se confrontata con l’età che dimostra.
Un giorno Dee trova una lettera per terra, caduta fuori dalla buca delle lettere, questa lettera però ha l’indirizzo del mittente e anche del destinatario cancellati dalla pioggia, si legge l’interno della lettera e si legge qualche lettera e qualche numero della busta esterna, ma nulla di più. Da qui inizia la missione di Dee: scoprire chi ha perso la lettera e restituirla perché lì dentro c’è una dichiarazione d’amore, c’è la storia di qualcuno che dichiara di sentire la mancanza di qualcun altro e quel qualcun altro la lettera non l’ha nemmeno aperta ma l’ha rispedita al mittente e invece… e invece Dee è una bambina di quelle che quando si mette in testa di compiere una missione va fino in fondo.
Dee non è sola nelle sue ricerche, la affiancano Vito, innanzitutto, e Kevin, due bambini che abitano nei suoi stessi palazzi comunali; messi insieme loro tre forniscono una bella carrellata delle situazioni familiari possibili: Vito ha una famiglia numerosa e affettuosa, italiana di origine, in cui si cucina sempre qualcosa di buono e mamma Veronica è la mamma che chiunque vorrebbe avere; Kevin ha due genitori in eterna lotta con una mamma depressa e un papà che alla fine scappa per rifarsi una famiglia, e Dee? Dee non ha nemmeno la più pallida idea di quale sia la sua famiglia: sua mamma è talmente diversa da lei da essersi convinta da tempo di esser stata adottata se non addirittura…rubata.
L’intreccio di storie è complesso e non starò certo qui a svelarvelo tanto più che questo romanzo sembra avere le caratteristiche di un romanzo di formazione (e in parte le ha) ma è costruito anche come un giallo che va scoperto pagina dopo pagina. Un giallo anomalo perché raccontato in prima persona da Dee che scopre insieme a noi cosa accade pagina per pagina, come in un diario che in effetti lei va appuntando per non perdere per strada i brandelli di traccia che va faticosamente mettendo insieme per risolvere sia la questione della lettera ritrovata che quella della sua famiglia.
Come sempre la trama del libro mi interessa fino a un certo punto, certo ci tengo a segnalare la costruzione del ritmo dell’intreccio che regge molto ma molto bene alla tensione di lettura in crescendo. Ma l’aspetto più interessante di questo romanzo, forse, dal punto di vista narrativo, è la costruzione dei personaggi, Dee innanzitutto ma anche Vito, Kevin, la mamma di Dee e gli altri personaggi secondari, prendono tutti corpo e rotondità psicologica diventando protagonisti del complesso quadro quotidiani della vita di Dee.
Due i temi, e intendo temi portanti della narrazione, e sto parlando di quelli esistenziali non di quelli che ricerchiamo per comodità nelle narrazioni scritte magari ad hoc: la nostalgia e il silenzio, l’assenza o la mortificazione della parola.
Partiamo dal primo elemento che è più evidente: se la vicenda inizia a ruotare dietro al pretesto della lettera ritrovata in cui chi scrive non nasconde di sentire la mancanza del destinatario (a noi sconosciuto), anche la vicenda della ricerca del destinatario della lettera parte da una domanda che Dee va ponendo a tutti coloro che rientrano nelle indagini (dimenticando però di porla a se stessa e alla sua mamma…): “c’è qualcuno di chi senti la mancanza o che può sentire la tua mancanza”
“Sai come la vedo io, Dee?” dice poi [Vito]. “Tutti sentono la mancanza di qualcuno. E tutti mancano a qualcuno. Per cui, avremmo potuto lasciare quella lettera letteralmente a chiunque”
Sembra facile partire da un indizio e procedere secondo il paradigma indiziario… e se quell’indizio può riguardare chiunque sulla faccia di questa terra?
Ecco che le cose si complicano, eccome, e non solo dal punto di vista della “risoluzione del caso” ma anche e soprattutto dal punto di vista esistenziale, le implicazioni di essere parte di un tessuto di relazioni fatto di persone in cui la mancanza, in un senso o nell’altro, è parte integrante dello stare al mondo.
La seconda questione, quella delle parole e della lingua, ma soprattuto del silenzio, è invece più sottile, sia da percepire che da ritrovare tra le pagine. Il silenzio è il tratto caratteristico della mamma di Dee, ma anche in qualche modo di Dee stessa che parla in continuazione ma non riesce a fare le domande che le girano per la testa alla mamma, e nemmeno agli altri coinquilini che avrebbero potuto aiutarla a risolvere una parte del mistero della narrazione… Ma a livello della narrazione questo silenzio, o meglio questo rapporto difficile con le parole, viene significato in diversi modi primo dei quali che mi è saltato all’occhio e che piano piano acquisisce sempre più significato anche dal punto di vista dell’evoluzione narrativa, è il modo in cui la mamma di Dee pronuncia la preghiera prima di mangiare, come se fosse una sola lunghissima parola di cui non si capisce minimamente il senso e che permette a Dee di fantasticare.
Ecco cosa è il linguaggio, la parola, quindi l’espressione e la condivisione anche del pensiero, in casa di Dee, qualcosa che si lascia andare senza il coraggio di chiedere di capire o di domandare, più facilmente accettando il silenzio. Sarà solo quando Dee deciderà di rompere questo silenzio che si apriranno le cataratte del linguaggio, delle parole, le storie saranno dette, i nomi saranno pronunciati e tutto prenderà ordine e forma sullo sfondo di una vicenda davvero molto ma molto articolata e tutta da scoprire insieme alla protagonista, una vicenda in cui, lo accenno soltanto ma l’elemento è tutt’altro che secondario anche pensando a questo “tema” della parola che fa e dice il mondo, l’elemento religioso diventa più che significante.
Spero leggerete questo romanzo e lo proporrete ai lettori e alle lettrici perché credo possa trovare spazi e riscontri e lasciare la sua scia silenziosa nelle loro anime, io lo inserirò sicuramente tra i consigli per le letture estive.
Chiudo con un appunto sulle illustrazioni di Maarje Kuiper che accompagnano il libro aprendo e chiudendo i capitoli con una delicatezza e un simbolismo che mi sono parsi azzeccati alla narrazione, e poi adoro quando delle belle immagini si fanno spazio, anche in maniera così apparentemente defilata o spazialmente limitata, nei libri per ragazzi e ragazze!
p.s. Di Enne Koens avevo recensito il primo romanzo portato in Italia da Camelozampa, Hotel Bonbien e tra poco arriverà (la recensione il libro è già in giro da un pezzo e si è anche vinto diversi premi) anche Sono Vincent e non ho paura, per lo stesso editore.