Il nostro piccolo paradiso

Il Novecento, tra le altre cose, è stato il secolo della nascita del turismo di massa, dal boom economico (in realtà la tendenza in alcuni Paesi era iniziata già con la rivoluzione industriale e le ferrovie) in poi è diventato sempre più “normale” pensare che l’estate di vada in vacanza da qualche parte. Le ferie che diventano un diritto dei lavoratori e delle lavoratrici implicano la possibilità di stare a casa da lavoro e per estensione spesso di andare in un luogo di vacanza, appunto.

C’è tuttavia chi le vacanze, fosse anche in luoghi geograficamente vicini e non esotici, non se le può permettere.

A loro è dedicato questo post e in qualche modo anche il romanzo Il nostro piccolo paradiso di Marianne Kaurin edito da La Nuova Frontiera Junior con la traduzione di Lucia Barni.

La narratrice di Il nostro piccolo paradiso, in prima persona, è Ina ed è lei a raccontarci l’estate in cui scoprì che i Tropici non sono un luogo fisico ma il luogo dove stai bene… ma andiamo con ordine e provo in due righe a sintetizzare la trama. La storia si apre sull’ultimo giorno di scuola quando la prof chiede a tutti dove andranno in vacanza e Ina, decisamente in difficoltà economica con la mamma disoccupata e in profonda depressione, inventa una finta vacanza con destinazione generica ai tropici, Vilmer invece, nuovo arrivato della classe (sì arriva l’ultimo giorno di scuola per presentarsi ma poi seguirà le lezioni dall’anno successivo nella classe di Ina), non si vergogna di dire che la sua famiglia le vacanze non può permettersele e quindi resterà ai condomini Trine, tristemente noti a tutte e tutti i compagni come condomini La-Trine e ho detto tutto. Anche Ina abita ai condomini Trine e si rinchiude in casa morendo di caldo, senza nemmeno aprire le finestre per non farsi scoprire in casa da chi, Vilmer ma non solo, passando di lì potrebbe accorgersi che in realtà non è andata in vacanza. Accadrà invece poi che Vilmer e Ina si ritroveranno e costruiranno nell’appartamento abbandonato del vecchio custode dei condomini i tropici con tanto di piscina, ombrellone, tramonto ecc. ecc.

Ina e Vilmer passeranno la loro migliore estate scoprendo qualche mistero, mettendosi a vicenda a riparo dalle questioni familiari e innamorandosi.

Fila tutto liscio fino a quando Ina non sarà scoperta dalle viperelle delle sue compagne di classe e rinnegherà l’amicizia (e l’amore) di Vilmer.

E non vi dico ovviamente come andrà a finire.

Vi dico invece, as usual, cosa fa di questo romanzo un bel romanzo per ragazzi e ragazze.

L’estate è sempre un momento eccezionale per crescere e sperimentare, in qualsiasi modo si intenda la parola, in senso positivo e in senso negativo, è il momento in cui grazie sl venir meno della routine si instaurano nuove relazioni, abitudini e si fanno i conti con se stessi e la propria condizione familiare, soprattutto quando hai 12-13-14 anni. Questo quindi è sicuramente un romanzo di formazione, se proprio vi piace trovare un genere di afferenza, ma mi verrebbe da dire: “quale romanzo scritto per ragazzi e ragazze, in fondo, non lo è?”.

Ina raccontando in prima persona usa la scrittura come forma di utoanalisi, tutti i suoi dubbi, le sue tensioni a seguire le compagne e in compagni più in auge, la sua coscienza che invece la manda da un’altra parte, i casini che riesce a combinare bugia dopo bugia… sì la narrazione di Ina è al presente, non al passato ovvero non siamo di fronte al racconto di un’estate ex post, bensì di fronte ad un racconto giorno per giorno che ci fa percepire meglio l’evoluzione del modo di pensare e di sentire di Ina. Potremmo fare un esercizio giocoso e provare ad immaginare come la narrazione sarebbe risuonata se la focalizzazione fosse stata zero, con narratore in terza persona onnisciente, o in prima persona ma in flashback oppure, ancora più interessante, che piega avrebbe preso il racconto se a dire io in diretta, al presente fosse stato Vilmer e non Ina. La purezza e ingenuità di Vilmer, che al tempo stesso tradiscono e rivelano una maturità molto superiore e diversa da quella dei compagni e compagne di classe, ci avrebbe sicuramente spezzato il cuore, avrebbe fatto sentire meno leggera la narrazione, forse. Vilmer è allegro, spumeggiante, creativo, ma è lui la vittima di questa estate in cui Ina non ha ancora capito da che parte della vita vuole stare, se da quella della massa, o da quella del suo cuore. Il fatto che racconti Ina invece smussa l’impatto emotivo di Vilmer, anche se lo possiamo immaginare, e ci fa invece sentire quello che molti ragazzi e ragazze sentono: la difficoltà di riconoscersi al di fuori dei “canoni”, ammesso che qualcuno ci sia davvero dentro, della maggioranza.

Insomma Il nostro piccolo paradiso è un perfetto romanzo estivo che ci dimostra che per essere in vacanza non serve andare da nessuna parte, basta trovare un luogo in cui star bene con se stessi, magari insieme ad un buon libro!

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