L’ultima isola
Immaginiamo di vivere su un’isola deserta, un vero paradiso terrestre con la natura, gli animali; immaginiamo di vivere dei prodotti del mare e della terra in una piccolissima economia chiusa in cui nulla serve oltre allo stretto necessario per mangiare.
Ora immaginiamo che un giorno l’acqua inizi ad alzarsi e non smetta più di farlo tanto da costringerci a prendere una barchetta e ad affrontare il grande mare… verso dove?
Questa è la storia, l’inizio, di L’ultima isola di Ji Hyeon Lee edito da Orecchio acerbo, un libro a figure senza parole che può funzionare altrettanto bene come metafora, come è necessario la letteratura faccia, e come racconto realistico.
Ma torniamo a noi, siamo sulla nostra barchetta che affronta il mare e decisamente arrabbiati ci dirigiamo verso quella nuvola di fumo nero e denso che avevamo intravisto tempo prima all’orizzonte, prima che l’acqua iniziasse ad alzarsi, prima, quando la vita sembrava scorrere tranquillamente.
Eccoci lì, davanti alla mastodontica fabbrica, ci pare sensato che il male (e il “mare”) provenga da lì, no?! Ma cosa fare? Tentare un approccio alla greenpeace?
Ma noi siamo personcine miti, determinate ma miti, e la scelta non ricade sull’andare a fronteggiare l’industria, azione che risulterebbe per altro realisticamente assai difficile da portare a termine in qualche maniera efficace, bensì…
Non ve lo dico come si chiude il libro, ovviamente, ma preparate a sentirvi coinvolti, molto coinvolti. “Anche se voi vi credete assolti siete per sempre coinvolti”, cantava De Andrè, e così è. Anche se ci crediamo assolti siamo per sempre coinvolti.
Ma passiamo dal contenuto alla forma, lo sapete che uno non esiste senza l’altro, e proviamo a vedere come questo albo prende la forza che ha. Il primo elemento che salta all’occhio è la scelta di non usare le parole, Ji Hyeon Lee, coreana, al suo terzo libro pubblicato da Orecchio acerbo, conferma la sua predilezione per la narrazione che non ha bisogno di parole: dopo La piscina e La porta, ecco L’ultima isola a dimostrarci che ogni forma di narrazione può trovare la propria strada fatta di suoni evocati dal solo linguaggio iconografico, senza bisogno di ideogrammi o lettere da aggiungere.
L’altra cosa che credo salti all’occhio in questo libro, come e forse di più che nei suoi altri, è la delicatezza del segno, una pacatezza, una quiete che tuttavia non contrasta ma rafforza l’arrabbiatura crescente nell’abitante dell’ultima isola le cui espressioni diventano sempre più accigliate. Il nostro protagonista non parla, non impreca esplicitamente ma dalla sua faccia sappiamo che lo sta facendo mentalmente, il nostro protagonista agisce.
Agisce prima sulla scorta di una quotidianità quasi bucolica ed idilliaca e poi sulla scorta di una impellenza quasi sociale. Anche questo accade nella storia: il passaggio dall’individualità alla collettività, non che aumentino i personaggi, alla fine ne compare un secondo, va bene, ma comunque stiamo parlando di singoli individui. Solo che nel passaggio dal prima al dopo il passaggio dal soggettivo al collettivo si percepisce forte e chiaro. Una collettività fatta di individui in cui ognuno, ogni singola persona vivente nel mondo cosiddetto civile e sviluppato, ha il proprio pezzetto di responsabilità rispetto alla piega che ha preso il mondo naturale, il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, l’inquinamento dell’aria e chi più ne ha più ne metta.
Il ritmo, sarebbe interessante analizzare il ritmo di questo albo e forse lo faremo nel corso del 5 settembre dedicato agli albi alle secondarie, per scoprire come viene usato il tempo nel giro pagina: un tempo che procede in avanti, come è necessario che accada negli albi illustrati, ma che, pur nella metafora, contiene un tempo più lungo di quello abituale delle avventure narrate a figure.
L’ultima isola è un libro che cammina piano piano dentro il lettore, che con il suo avanzare calmo arriva al colpo di scena finale in maniera eccezionale e perfetta perché resti impresso nella mente e nel cuore di chi legge e permetta di rileggere l’albo più e più volte alla luce del finale. Chissà quante discussioni, interpretazioni e ragionamenti scaturirebbero dalla lettura di questo libro senza parole in classe! Che dite proviamo?