La strada ti chiama
Ci sono dei momenti – anni, mesi, dipende, – in cui sembra che ci sia una congiunzione astrale che concentri in un determinato luogo energie speciali.
Uno di questi momenti si deve essere verificato in Canada nell’estate del 1976, l’anno e i mesi in cui è ambientata la storia, anzi sono ambientate le storie, di La strada ti chiama di Francesca Bonafini edito da Sinnos. Se volete conoscere nel dettaglio quello che accadde quell’estate vi rimando all’apertura del libro ed alla nota dell’autrice che lo chiude, quello che invece a me interessa di più sta nel mezzo, tra questi due estremi del libro. Nel mezzo, a comporre la narrazione, ci sono le storie di 4 ragazzini che raccontano, ognuno in prima persona, la loro estate del ’76.
Apre il romanzo Leonardo che fino alla pagina 50 circa ci fa credere che il suo sia il punto di vista narrante e che sia lui il perno della narrazione; poi però arrivano le voci di Dimitrios e poi di Oliver e infine di Yves che ci portano in altre prospettive, in altri contesti familiari e culturali e sociali. Ognuno di loro si racconta in prima persona rendendo questo romanzo un bel romanzo corale che, tra le altre cose molto me molto ben riuscite, ha la costruzione delle focalizzazioni.
Cosa hanno in comune questi ragazzi?
Il tempo e lo spazio, innanzitutto, direi: siamo, appunto, nell’estate del ’76 e loro si ritrovano per strada a giocare a hockey, sembra essere questo che li accomuna, il tempo e lo spazio che trascorrono insieme, per il resto si tratta di personalità tra loro molto diverse e con interessi apparentemente distanti, forse in qualche modo legati indirettamente alle loro diverse provenienze familiari (Leonardo è figlio di migranti italiani, ad esempio, Dimitios di greci…).
In comune i 4 protagonisti narratori hanno anche l’essere alla ricerca di qualcosa, di un tesoro da trovare (non a caso ognuna delle quattro sezioni e voci del libro si intitola di “mappa di … “): qualcuno cerca la propria passione, qualcuno l’amore, qualcuno un’avventura che gli cambierà la vita, qualcuno la propria voce. Una ricerca che diventa esplicito espediente narrativo per far vivere ai 4 amici una piccola avventura che li terrà per qualche ora lontani dalla “loro” strada, a sperimentare un modo diverso di stare insieme.
Chiude il romanzo la voce di Yves, il ragazzo che abbiamo già più volte incontrato attraverso le voci degli altri 3 protagonisti e anche attraverso i tanti brani di opere liriche che questo ragazzo fa ascoltare e conoscere agli amici. Ives è appassionato di lirica e voce soprana del suo coro, una vera piccola celebrità nel suo campo, dotato di un talento eccezionale ma che nell’estate del ’76, come è necessario che accada, inizia a cambiare voce.
Ma con la mia voce di bambino se n’è andata pure la bellezza. Perché?
Yves arriva per ultimo, a farci sentire la propria voce narrativa, i suoi svelamenti nel corso del libro ci appariranno ad un certo punto più significativi di quanto avessimo pensato, qualche campanello potrebbe suonare nel corso della lettura, arriviamo alla fine in cui la voce di Yves mette a tema non solo il suo punto di vista e il suo travaglio personale, ma anche mette a tema ciò che l’intera narrazione sottende, il passaggio dall’infanzia all’edolescenza e a ciò che poi ne seguirà.
Con La mappa di Yves il romanzo chiude la costruzione corale e lascia un ultimo capitolo, una lettera di Leonardo a Oliver che nel 2016 ricorda l’estate di quaranta anni prima e ricapitola le sorti dei 4 amici diventati uomini. È in questa conclusione epistolare di Leonardo (è la sua voce che ha aperto la narrazione ed è la sua voce che la chiude) che inizia ad apparirci il disegno che l’autrice ha cercato di tenerci nascosto, o almeno diluito, nel corso di tutto il libro. È qui, alla soglia ultima del romanzo che capiremo che il motore della narrazione ed anche dell’ispirazione narrativa è proprio l’ultima voce, quella che la voce la perde.
La strada ti chiama è un romanzo bellissimo, che di cose ne racconta tante, da ricercare soprattutto negli spazi tra i vari punti di vista in cui il lettore e la lettrice potrà ricostruire la propria mappa, ma racconta anche un pezzetto, significativo, della storia del grandissimo direttore d’orchestra franco-canadese Yves Abel.
Non vorrei schiacciare La strada ti chiama su un unico aspetto o limitarne la complessità ma non posso esimermi dal notare che la forza della costruzione di questo romanzo è davvero grande e andrebbe studiata a fondo per capire la cura, la perizia e naturalmente la bravura che ci vuole a costruire un congegno narrativo di questa natura. Un congegno che è lo scheletro della narrazione ma ne è anche la sostanza perché in letteratura il significante, ovvero il modo in cui le cose si raccontano, è forse ancora più importante del significato, ovvero il cosa si racconta.
La strada ti chiama nasconde e disvela una narrazione stratificata in cui cercare tantissimi sensi, anche nei lessici e nelle metafore il titolo stesso è una metafora, quale strada chiama i nostri protagonisti? La strada fisica e la strada di vita, la strada delle letture che indicano una strada. Un libro che direi è anche un augurio a lettori e lettrici, che ognuno trovi la propria strada, quale che sia!
La strada ti chiama ha meritatamente vinto il premio Andersen 2023 come miglior libro oltre i 12 anni.