Dove c’è più luce
A volte i libri necessitano di gestazioni lunghe, a volte anche l’elaborazione dei cambiamenti richiede tempi lunghi e processi faticosi che mettono in gioco la memoria e le pratiche di vita quotidiana.
Pare che questo sia il caso tanto dell’autore quanto del protagonista di Dove c’è più luce di Sualzo edito da Tunuè, un libro a fumetti che ha avuto il suo primo seme nel 2010 e che pone al centro un protagonista che seguiamo in un processo di emersione dal proprio vissuto che da tempo non lo lascia vivere.
Questa è la storia del libraio antiquario Voynich che centra la sua, oserei dire, infelice esistenza sui libri antichi che compra e rivende, vive del trauma di una moglie soggetta ad una perdita di memoria tale da non riconoscerlo e da non volerlo più e ha deciso di scendere ogni scalino possibile verso l’abisso dell’abiezione umana. È duro, inutilmente insensibile, rifiuta il calore umano se non quello con il suo nipotino che forse è l’unica creatura che abita la vita di Voynich che non chiede affetto, attenzione, cura, ma li dà. Tutto inizia a cambiare quando nella libreria dell’antiquario arriva una giovane donna pronta a vendere un libro ereditato per liberarsi dei debiti e della memoria del padre. Da qui in poi la storia prenderà una strada diversa, vi dico solo che se non si uscirà a rivedere le stelle almeno Voynich capirà che deve cercare la propria strada dove c’è più luce… No, il libro non prende la piega che state pensando ma più di così non vi dico: 1) perché non racconto mai le trame, lo sapete, e mi interessa soffermarmi sulla forma dei libri; 2) perché quella dell’incontro tra il libraio e la ragazza è solo uno dei diversi fili dell’intreccio complesso di questo libro fatto di detto, di narrato, ma forse ancora di più di ciò che viene lasciato nel non detto, nel taciuto.
E dunque andiamo nella forma del libro, e questa volta ho anche una giustificazione intrinseca alla narrazione… in molti modi è tematizzato nel testo, talvolta in maniera esplicita (ad esempio a colloquio con lo psicologo) più spesso in maniera implicita, quanto sia fondamentale la forma perché occuparsi del contenuto porta a perdere di vista l’insieme. Dove c’è più luce è un libro a fumetti totalmente giocato sul cromatismo tra il colore che io chiamerei carta da zucchero e il nero, non ha colori ma chiaroscuri giocati su questo bicromatismo, la narrazione è divisa in cinque sezioni, cinque capitoli se volete, preceduti da due pagine che aprono e chiudono la narrazione. Le cinque sezioni sono: “memoria”, “nomi”, “piante”, “sbagliare” e “Shakespeare in-folio”. Se vogliamo tentare una lettura ritmica della costruzione ritmica della narrazione in chiave musicale potremmo dire che queste cinque parti rappresentano dei movimenti a cui le due pagine di apertura, cupe, fanno da preludio.
La narrazione procede da un lato usando e sfruttando tutta la sintassi del linguaggio del fumetto, dall’altro piegando la stessa allo stile di un autore a cui le rigidità delle vignette, delle inquadrature che tante volte tornano utili al fumetto anche per velocizzare la creazione e la lettura della storia, stanno evidentemente strette.
Potremmo trovare molte linee di lettura e interpretazione significative e significanti in Dove c’è più luce: potremmo seguire la linea della bibliofilia ed interpretarla a livello metaforico, potremmo dare una lettura metanarrativa del tutto, potremmo seguire la strada dell’introspezione psicologica e della cura della mente e della malattia mentale, potremmo seguire le luci e le ombre alla ricerca di dove c’è più luce, o potremmo anche solo restare alla lettera del testo tra parole e disegni e se scegliamo questa strada potremmo scegliere anche di interpretarla a partire da quel bambino che, così poco compare nella narrazione ma così tanto la influenza, da comparire in copertina insieme al nostro libraio Voynich. Ecco, potremmo anche interpretare il tutto a partire dalla copertina e dalle citazioni d’apertura delle singole parti.. Insomma, a voi la scelta di quale strada seguire, quale crepa direbbe Barthes, per entrare in Dove c’è più luce e lasciare che a sua volta entri nel nostro vissuto quotidiano di lettori e lettrici.
D’altronde questo è, come sempre, il potere della letteratura, lasciarci tante strade aperte, permettere ai personaggi di parlarci in modi diversi, lasciare che la narrazione prenda il suo corso all’insaputa del suo autore o della sua lettrice dandoci la libertà di dirigerci, nel libro, e non solo, alla ricerca del luogo dove c’è più luce.