Il mio miglior migliore amico
Quando leggo un libro di Olivier Tallec sono sempre felice, so che mi regalerà momenti di intensa emozione, talvolta divertimento, talaltra commozione.
Quando leggo un libro di Olivier Tallec ho la certezza che, si tratti di uno dei suoi capolavori o di uno dei suoi libri meno intensi, vi troverò quella qualità letteraria, estetica, a cui i bambini e le bambine hanno assoluto diritto.
Oggi ho letto Il mio miglior migliore amico di Olivier Tallec, edito da Clichy, con la traduzione di Tommaso Guerrieri, e mi è ricapitato: mi sono divertita, emozionata e vi ho ritrovato quella costruzione ritmicamente perfetta di cui Tallec è maestro.
Il mio miglior migliore amico ha per protagonista lo scoiattolo che abbiamo già incontrato nell’esilarante Quest’albero è mio e Avrei voluto, prima lo abbiamo seguito nella definizione del proprio spazio, poi in quella della propria identità, ed adesso ci troviamo con lui alla ricerca del migliore amico. Non di un amico, ma di un migliore amico, anzi di un miglior migliore amico…
Il nostro scoiattolo si trova ancora una volta coinvolto in un soliloquio che vorrei sinteticamente definire “alla Woody Allen”: mille dubbi lo assalgono di continuo, le contraddizioni del pensiero e dell’essere sono sempre dietro l’angolo e insidiano ogni sua certezza.
La storia si apre con il nostro piccolo eroe che trova un migliore amico (occhio agli articoli determinativi e indeterminativi!)
Stamattina, mentre passeggiavo ho trovato un miglior amico.
Di solito raccolgo soltanto pigne,
ma questa volta è un miglior amico.
Almeno credo. Comunque gli somiglia molto.
Il miglior amico che lo scoiattolo raccoglie nel bosco, al posto delle pigne, si chiama Poc, ci mette un po’ a riuscire a parlargli ma poi ecco che gli animi si sciolgono e inizia la storia di amicizia tra lo scoiattolo e Poc, tutto fila liscio fino a quando, in primavera, arriva Momo, anche lui ha proprio la faccia da migliore amico… ma il migliore amico è uno mica due..
Ecco i dubbi assalgono il nostro protagonista che per una volta sembrava aver trovato un po’ di pace emotiva ed esistenziale. Sta quasi risolvendo il dissidio filosofico riguardante la possibilità che ci siano due migliori amici invece che uno quando una mattina ecco che arriva Günter il topino.
Non vi dico, ovviamente, come si chiude la narrazione.
Vorrei però fermarmi un attimo sul ritmo di questa storia che è un crescendo narrativo a cui corrisponde una velocizzazione del ritmo della narrazione ed un controllo sempre maggiore del numero di tavole attraverso le quali l’autore mette in scena le azioni e i dubbi dello scoiattolo. Ci mettiamo molte tavole per attraversare la scoperta e l’esperienza dell’amicizia con Poc, e tutte quelle tavole ci permettono di entrare in un contesto, di conoscere le reazioni dello scoiattolo, insomma di entrare appieno nella storia, una volta che questo è accaduto ecco che le tavole per l’arrivo di Momo sono molte meno e vengono spezzate, per portarci verso la conclusione della crisi esistenziale dello scoiattolo. La chiusa è rapidissima e icastica direi, a questo punto non ci serve nemmeno il testo ma basta un’illustrazione a giorno per farci capire cosa è accaduto nel mezzo ed anche per sollecitare in ogni lettore e lettrice la propria interpretazione di ciò che la storia volutamente tace.
Il mio miglior migliore amico è senza dubbio un bellissimo albo centrato sul concetto dell’amicizia ma questo è solo un primo, letterale, livello di interpretazione a cui, come sempre in letteratura, ne possono seguire infiniti altri, dai più tecnici ai più metaforici e filosofici, ad ogni lettore e lettrice il proprio. Per me, ad esempio, che ho la tara dell’analisi e della struttura, questo è un libro perfetto per il ritmo con cui è costruito e che significa alla perfezione i movimenti interiori del protagonista in una corrispondenza tra forma e contenuto notevole; ma anche una storia sul punto di vista, lo scoiattolo, qui come nelle altre narrazioni, si fa cogliere da mille dubbi ma tutti concentrati su suo modo di pensare. Mai lo sfiora la domanda rispetto a cosa sentano e vogliano gli altri, in questo caso gli altri amici. Processo psicologico molto tipico dell’infanzia e non solo ma su cui potremmo soffermarci un bel po’, non vi pare?
Non mi perderei un libro di Tallec per niente al mondo, e voi?
p.s. occhio al numero di Andersen 405 di questo mese dedicato proprio a questo grande autore della letteratura per l’infanzia!