Io e Pepper

Una delle cose che più mi colpisce quando esce un libro di Beatrice Alemagna è la capacità di stupirmi, sempre.

Non che non vi siano, ogni volta, in forme più o meno evidenti, elementi tipici della sua poetica, e tuttavia il modo di narrare, la storia stessa che ogni volta prende forma, ha la capacità ogni volta di meravigliare.

È accaduto anche con il nuovissimo e bellissimo Io e Pepper appena edito da Topipittori in cui prende forma una storia di quotidianità infantile che ci traghetta dritti dritti dal tempo in cui l'”io” piangeva per una caduta e un ginocchio sbucciato, a quello in cui la cicatrice di quella sbucciatura permette di tornare ad un tempo passato.

L’io narrante è quello della bambina protagonista che, appunto, un giorno, nella prima doppia tavola, cade e di sbuccia un ginocchio; da lì in poi ecco che sopraggiunge il secondo protagonista della storia, anzi la seconda: la crosta sul ginocchio che “io” chiama Pepper (non un nome supercarino come avrà da ridire Pepper stessa…). Nell’attesa che Pepper cada le giornate passano e la crosta cresce e poi rimpicciolisce fino a cadere a sua volta, come accaduto a “io” all’inizio di questa storia. “Io” aspetta con impazienza che la crosta cada solo che, come spesso accade, quando la cosa tanto attesa accade sopraggiunge un senso di nostalgia, non di liberazione e felicità.

In Io e Pepper ritroverete, anche in alcune scelte stilistiche della costruzione delle tavole, Eddie del Cicciapelliccia, ma anche il protagonista di Un grande giorno di niente, e l’aria che si respira in Le cose che passano e a voi la ricerca di tutti i punti di contatto tra questo libro e altri nella prospettiva di una poetica che cresce, si consolida e si modifica. Ma soprattutto in Io e Pepper troverete una storia fresca, originale, narrata con un ritmo e una delicatezza straordinari, che riuscirà a entrare in contatto con ogni “io” lettore richiamando un’esperienza condivisa ad ogni età, un sentimento familiare, quel viaggio di crescita straordinario che ci porta dallo schifo che si prova quando il sangue esce copioso come un film dell’orrore sulla gamba, a quando la crosta formicola e cuoce come un hamburger che però non si mangia, alla cicatrice che porta con sè non più il ricordo splatter e l’impazienza della guarigione bensì i sapori e gli odori di un tempo che grazie a quella semplice crosta rimarrà più impresso degli altri nella nostra memoria.

Pepper, la crosta, personificata e persino parlante, diventa in questo libro il correlativo oggettivo di tante cose, per quell’io narrante: del desiderio di un cane, ad esempio, di una compagnia costante ed amica ma anche del passaggio d’età da quando si piange per una caduta, come una bimba piccola, a quando ci si ricorda del tempo trascorso grazie alla cicatrice.

Potremmo soffermarci a lungo a leggere il libro in molti modi, attraverso la scelta della focalizzazione interna, attraverso le relazioni familiari, il rapporto tra individuo e gruppo, la costruzione del ritmo e delle tavole, ma vi toglierei il gusto di scoprire tutto questo da soli e di godervi il libro con quell’ingenuità che richiede e che vi riscalderà portandovi sicuramente a provare (a qualsiasi età) quella che Proust chiama un’intermittenza del cuore.

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