La fata dell’acqua

Care teste fiorite buongiorno e buon lunedì,

apriamo la settimana con un albo eccezionale e dunque vi propongo La fata dell’acqua di Heena Baek edito da Terre di mezzo con la traduzione di Dalila Immacolata Bruno. La grandezza dell’autrice e il suo stile originalissimo così tanto vicino all’animazione in stop motion è ben noto a chi bazzica il mondo degli albi illustrati e gode della loro lettura.

Ora questa Fata dell’acqua arriva a sorprenderci ancora una volta con una storia tra magia e realtà in cui forse è proprio lo stile così fortemente realistico e la costruzione straordinaria dei personaggi a sorprenderci più di tutto.

La storia è presto detta: Dokji va alle terme con la mamma, la mamma sceglie sempre le terme vecchie a quelle nuove sulla strada principale, Dokji preferirebbe le altre ma tant’è, comunque se si lascerà strofinare con la spugna senza fare capricci alla fine la mamma le comprerà uno yogurt fresco da bere. Dokji ama di più la vasca bassa con l’acqua fredda a quella grande termale e ci si avventura nonostante gli avvisi della mamma a non raffreddarsi. Ed è lì che appare la fata dell’acqua… Mi fermo qui e vi lascio scoprire il resto nella lettura diretta del libro, mentre io da qui inizio qualche pensiero su questo albo.

La fata dell’acqua è un libro secondo me magnetico, cattura lo sgurado sin dalla copertina, che è ripresa da una tavola interna e ci presenta immediatamente le due protagoniste della storia. Una bambina e una donna anziana, una fata d’accordo, ma senza ali, a meno di non intravederle nell’acconciatura e a meno di non credere davvero che le fate si riescano a spostare solo se hanno le ali. La bambina trova nella fata una compagna di giochi, un adulto di riferimento totalmente diverso rispetto alla figura materna, che insieme a lei sperimenta i piaceri dell’acqua fredda e poi anche dello yogurt che Dokji farà conoscere alla fata svelandole a sua volta uno dei piaceri della vita. È uno scambio quello tra la bambina e la fata, non c’è insegnamento, non c’è subalternità nel loro incontro. Questa non è una fata che educa e educe anzi diventa complice incurante dei rischi di far stare la bambina immersa per tanto tempo nell’acqua fredda.

L’evoluzione della storia sembrerebbe dare ragione alla mamma e condannare l’incoscienza della bambina (la mamma naturalmente non vede l’anziana fata) eppure… eppure qualcosa accade, qualcosa interviene a rassicurarci: non c’è insegnamento, né morale che tenga, non solo i giochi tra la fata e la bambina restano puri nella loro essenza, ma l’incontro tra Dokji e la vecchina diventa salvifico nel momento in cui la bambina davvero si riempie di raffreddore e febbre e verrà guarita da una incredibile visita notturna. Certo, potremmo domandarci se Dokji sarebbe rimasta così tanto nell’acqua fretta e si sarebbe ammalata se non avesse incontrato la fata, ma la domanda resterà nell’aria ed ognuno troverà la propria risposta prendendo una strada interpretativa o un’altra.

Il libro non spiega, non dà indizi, non emette giudizi, racconta e racconta con il punto di vista di Dokji un’esperienza straordinaria e avventurosa tra realtà e immaginazione in cui le due componenti si incrociano e determinano a vicenda senza soluzione di continuità.

Naturalmente tutto questo regge anche grazie alle scelte ritmiche e al modo di modulare le illustrazioni tra piccole e meno piccole immagini riquadrate, grandi tavole o doppie tavole a giorno in un movimento narrativo che trova perfetta complicità tra testo con focalizzazione interna e immagine con focalizzazione zero onnisciente come quasi sempre accade negli albi illustrati.

Le creature della Baek hanno una fisicità materica che sembra di poterle toccare e le fotografie che le ritraggono nei movimenti narrativi sfruttano tantissimo lo sfumato cinematografico che ci permette di alternare l’attenzione e di intravedere cosa sta accadendo tra il fuoco, Barthes direbbe il punctum, e lo sfuocato.

Chiudo con un’ultimo accenno sui risguardi che diventano fortemente significativi soprattutto nelle riletture successive alla prima. Se il primo risguardo, sfuocato, ci presenta il luogo in cui avverrà la magia della narrazione, cioè la vasca dell’acqua fredda, il risguardo finale ci apre verso seguiti e future narrazioni lasciando al lettore e alla lettrice la suggestione intorno a successive storie da immaginare.

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