L’asino scomparso

C’era una volta un libro che raccontava di un asino scomparso.

Questo libro si intitolava L’asino scomparso, il suo autore era Lucio Notarnicola e il suo editore Caissa Italia e l’asino scomparso era bianco, o forse nero… chissà.

C’era dunque una volta un signore che aveva due asini, uno bianco e uno nero, una mattina non trova più uno dei due asini e si mette in cammino per cercarlo chiamandolo a gran voce in ogni dove. Diversi animali (piuttosto insoliti) rispondono al suo richiamo e assai empaticamente si uniscono alla ricerca. Tutti, al tramonto, se ne tornarono a casa sconfitti dall’impossibilità di trovare l’asino scomparso, ed è proprio al ritorno a casa sua che il signore che aveva due asini ritrova l’asino scomparso. La felicità del ritrovamento dura il tempo del tramonto, dell’arrivo dell’oscurità, ed ecco che scompare l’altro asino e la storia ricomincia…

Quanti asini ci sono dunque in questa storia? Due

Quanti scompaiono? … uno…a turno…direi, il modo in cui tutto questo accade è avvolto in una leggera ironia a portata di lettori di moltissime età, dai bambini agli adulti che ne daranno letture del tutto diverse, ognuno legate al proprio modo di intendere lo stare al mondo e le storie.

Ma il punto non è dire o comprendere cosa la storia narra, naturalmente, il punto è come questo libro senza parole riesce a raccontare con forza, ironia e trasporto questa storia in cui potrete vedere tutto ciò che vorrete: da una piccola messa in scena sulla stupidità umana che non si accorge nemmeno di ciò che ha davanti al naso, ad un piccolo racconto filosofico su come l’essere umano non giunga mai all’appagamento delle proprie ricerche.

L’asino scomparso mi pare,che giochi tutta la forza narrante in due elementi principali: i colori e la sintassi delle tavole…

E il personaggio? Sì, certo, il centro di tutto è il personaggio che conosciamo sin dalla copertina ma la sua storia non funzionerebbe se non fosse tenuta su dai colori e dal ritmo della sintassi visiva quindi no, non credo che il centro della costruzione tecnica sia il personaggio, lui è il centro della costruzione del contenuto narrativo, non della sua forma.

I colori sono elemento dominante, con questo panna che così tanto richiama il bianco e il chiarore del giorno, il nero che crea ombre e ingombri e contorni ma soprattutto il contrasto del buio con il bianco del giorno. E poi c’è il rosso che squilla all’interno del panorama, come la voce del personaggio alla ricerca del suo asino, lo sentiamo gridare sin dalla copertina. Tre colori che da soli reggono il movimento narrativo e soprattutto i due colpi di scena del libro. A non ve l’ho detto che questo libro ha due colpi di scena?

Beh, sì, li ha, e contribuiscono a sottolineare l’ironia della narrazione.

Ma veniamo adesso alla sintassi delle immagini che sembra per lo più dominata dall’orizzontalità che rende non l’immobilità del movimento, visto che il personaggio per lo più è in movimento nello spazio, bensì l’immutabilità interiore del personaggio che non evolve in questa avventura. Lui attraversa ciò che accade con una fissità interiore incredibile, anche quando nel paesaggio compare un fiume ondulato che attraversa la tavola da sinistra a destra, o quando ci si affaccia da una rupe e persino nell’unica diagonale del libro, quella discendente del ritorno a casa a mani vuote, il nostro personaggio resta in groppa al suo asinello nero praticamente nella medesima posizione.

Un guizzo di movimento dell’anima lo vediamo nella quart’ultima tavola quando ricompare l’asino bianco (che in realtà è panna come il colore predominante del libro), dura un paio di doppie tavole, non di più, e poi ecco che si ricomincia. Impagabile la faccia perplessa del personaggio nella penultima pagina quando si accorge che è scomparso di nuovo un asino… quello nero questa volta…

Qui mi fermo perché sarebbe un peccato tentare interpretazioni de L’asino scomparso, ad ognuno la propria lettura, mi limito a constatare due cose, la prima ovvia, se mi seguite da un pochino: la forma vince sempre sul contenuto dicendo molto di più di quanto potrebbe sembrare, tanto più che siamo in un libro senza parole che amplifica al massimo grado le potenzialità di espressione narrativa dell’immagine. La seconda è che si sente che l’autore ha studiato filosofia…

Nulla aggiungo e qui vi lascio con questa storia circolare fuori dal tempo e dallo spazio perché ha le caratteristiche del racconto filosofico a misura di bambino lettore in cui se una morale c’è la dovrete andare a cercare dentro di voi.

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