Khat storia di un rifugiato

Ho questo libro tra le mani da qualche mese e, come talvolta mi capita, stavo cercando il momento giusto per scriverne…. questo è un libro delicato che credo abbia bisogno di un’attenzione specifica e per questo non volevo andasse “perso” in un giorno qualunque. Non ho trovato l’occasione giusta sino a qualche giorno fa quando Khat. Storia di un rifugiato di Xino Abadía edito da Il Gatto verde ha vinto il premio Andersen nella categoria “Miglior libro a fumetti”.

Dunque, non credo avrei parlato di questo libro come un fumetto, è un libro indefinibile come tipologia ma il riconoscimento di un premio come questo se lo merita tutto e adesso provo a dirvi la mia.

Khat. Storia di un rifugiato racconta con una sobrietà di parole impressionante la storia di Natan, ragazzino Eritreo che scappa col padre dall’Eritrea all’Etiopia lasciando la madre, dall’Etiopia poi, dopo dieci anni di lavoro tra le immondizie e ad accudire il padre malato di diabete che non può prendere le medicine, parte verso l’Europa.

Il viaggio di Natan dall’Etiopia alla Spagna dove arriverà a Valencia con una di quelle 3 navi che l’Italia rifiutò, il 17 giugno 2018 (ve la ricordate questa incredibile vicenda?) è un incubo che si sviluppa tra mancanza d’acqua e di cibo (scoprirete che in alcuni casi persino la benzina può andare bene), morti, torture indicibili, ricatti, reclusioni… La storia di Natan è la storia di migliaia e migliaia di persone, moltissime di loro mai arrivate in Europa, è la storia di Ibrahima Lo che Garrone ha raccontato in Io capitano. È vero, e tuttavia pensare che questa sia una storia comune non ci aiuta ad avvicinarla a noi, anzi, queste storie vanno raccontate con nomi e dettagli che rendano unico il viaggio perché unico è quel singolo individuo che ha vissuto sulla sua pelle il percorso di sopravvivenza.

La forza di Khat sta, come sempre, non nella storia unica di Natan, bensì nel modo con cui Abadìa ha voluto raccontarla, un modo unico, appunto, che gioca tutto sui colori e sui tratti sfumati e imprecisi dei pastelli a cera di cui incredibilmente il libro si porta dietro anche l’odore. In questo libro la tecnica diventa significativa e significante della narrazione permettendo da un lato la precisione dei fatti, dall’altro imprecisione del segno risparmiandoci i dettagli delle pagine più insostenibili, quelle delle torture, in cui anche il testo ha il pudore di mostrarsi e si sottrae lasciando le tavole significare da sole.

A questo punto lo so che vi state chiedendo cosa significhi la parola del titolo Khat, no, non è un nome di una persona, bensì di una pianta, una pianta che ha il potere di una droga e di un antidolorifico e che permetterà a Natan di sopravvivere portandola in cambio della sopravvivenza ai suoi aguzzini.

La storia di Khat è una storia dura, è vero, ma una storia che va raccontata e che, soprattutto, questo libro riesce a portare ad altezza di ragazzo e ragazza senza mentire, senza edulcorare, senza tralasciare niente ma anche, allo stesso tempo, grazie alle illustrazione, ai colori e alla tecnica usata, riesce a farlo senza scioccare, senza produrre quell’effetto di repulsione che troppo spesso ci prende quando le storie si fanno troppo dure.

Per chi è dunque Khat?

Per tutti, ragazzi e ragazze dai 12 anni in su direi, valutando naturalmente caso per caso, ma anche per ragazzi e ragazze molto più grandi e adulti, che spesso sono più in difficoltà dei ragazzi nel trovare le parole e nel riuscire a dire cosa accade. Khat è un libro che dovrebbe entrare nelle scuole secondarie di primo e secondo grado per raccontare il presente, la “materia” da sempre più trascurata.

Khat è un libro che entra nella memoria e un pochino la tormenta, abbiamo bisogno anche di questo, per sentirci umani ed anche per ricordarci, sempre, di prendere posizione, sempre, dalla parte di chi ha solo la colpa di essere nato in un posto diverso dal nostro.

Permetterete a Khat di entrare nelle vostre case e nelle vostre scuole?

Io mi auguro proprio di sì, il contrario sarebbe proprio un peccato!

p.s. Per proseguire la lettura, passando dall’illustrazione alle parole con la scrittura in prima persona, semplice e calda di chi quel viaggio l’ha fatto e con schiettezza lo racconta, caldeggio Pane e acqua. Dal Senegal all’Italia passando per la Libia di Ibrahima Lo, ragazzo che vale assolutamente la pena di incontrare e ascoltare.

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