Inheritance. A visual poem
Questo post è scritto da Elena Poletti, in collaborazione col suo blog Immaginarie, che cura la rubrica “Libri in lingua” in uscita il primo sabato del mese.
Care teste fiorite, eccomi di nuovo ospite di queste pagine favolose per raccontarvi un’opera ibrida molto interessante. Si tratta di un libro a figure che unisce la poesia contemporanea all’illustrazione e che si rivolge, per sua natura, ad un pubblico di lettrici e lettori che abitualmente non viene considerato come destinatario degli albi illustrati: adolescenti, giovani e anche persone adulte.
Negli ultimi anni, per fortuna aggiungerei, la fama di Elizabeth Acevedo – poetessa, performer e scrittrice dominicano-statunitense – è arrivata anche da noi grazie alla traduzione (per Sperling&Kupfer) di Poet X, la sua opera più celebre e potente, un romanzo in versi liberi.
Il libro di oggi nasce da un brano di poesia orale di Acevedo, al quale l’artista Andrea Pippins ha dato forma visiva. Inheritance. A visual poem (Quill Tree Books, Harper Collins Publishers, 2022) è un testo composito che si può leggere a diversi livelli e che parla di…capelli.

Un tema che può sembrare leggero solo per una manciata di secondi, il tempo di addentrarsi nelle prime pagine. Perché questo è un albo che apre un discorso sui corpi, sul razzismo anche interiorizzato, sulle radici, le identità e altro ancora, analizzando con uno sguardo acuto e tagliente alcuni aspetti del vissuto delle persone afro-latine in particolare.
Non siamo fatti solo di mente, i corpi contano, e parlare di corpi è anche politico, tanto più quando il corpo rispecchia un’identità sociale o culturale che storicamente è stata razzializzata.
La poesia originale da cui nasce il libro, portata da Acevedo sulla scena della slam poetry e poi diventata virale, si intitola Hair e dai primi versi tocca il tema del razzismo interiorizzato: “Mia madre mi dice di sistemarmi i capelli”. In Inheritance Acevedo sceglie di estendere a un soggetto più generico questa esortazione: “Alcune persone mi dicono di aggiustarmi i capelli”. E la risposta a questo invito si articola lungo le pagine del libro.
Come l’autrice spiega in questa intervista su Elle, la richiesta di conformarsi a standard di bellezza ben precisi arriva su più fronti: a volte sul lavoro, altre a scuola o nella stessa famiglia di origine. La pressione sociale che spinge a lisciare, schiarire o, in generale, assimilare il più possibile la propria acconciatura rispetto agli standard della popolazione caucasica è qualcosa con cui dover fare i conti, specie per le ragazze e le donne, in quelle società nelle quali le persone bianche sono ai vertici del potere pressoché in tutte le sfere.
In un salto vertiginoso e affascinante, Acevedo ci riporta ai tempi del primo colonialismo, alle persone rese schiave in Africa che viaggiano in catene nel ventre delle navi verso le Americhe. Questi capelli, corposi, voluminosi o ordinati secondo trame complesse, di cui Acevedo ci racconta hanno le loro radici qui, nella memoria dolorosa di quello che è stato. I discendenti e le discendenti di quelle donne e quegli uomini, oggi, portano i loro capelli in tantissime fogge diverse, ma c’è un qualcosa di non detto, un disagio di sottofondo. Quel legame, chi oggi convive con quell’eredità, lo vorrebbe, almeno in parte, archiviare, mettere via con la facilità con la quale si possono stirare dei ricci selvaggi.



Ma gli antenati e le antenate, riflette la voce narrante, in una sequenza dal fascino perturbante, sono ancora lì, legati a noi da quelle onde, respirano attraverso di noi.
I dominicani, spiega sempre la voce narrante, sono particolarmente famosi per i loro saloni da parrucchiere, esperti in tutte le tecniche di acconciatura per “domare” i capelli naturali delle persone nere o brown. Forse proprio per una situazione diffusa di razzismo interiorizzato. C’è una gerarchia invisibile tra diverse tonalità della pelle che si rispecchia – nella cultura dominicana e non solo, naturalmente – in tutte le situazioni della vita sociale. Il nodo di fondo, sgradevole quanto profondo, che Acevedo mette a fuoco deriva anche dalla sua esperienza personale: il pregiudizio persistente legato alle coppie in qualche modo ‘miste’.


E qui lo sguardo vola al futuro, alle bambine e ai bambini che nasceranno da questa unione, alla loro pelle scura e ai loro capelli meravigliosi, e all’amore di sé che la voce narrante, immaginandosi madre, desidera insegnare loro a mettere in pratica. Intrecciando orgoglio in ogni ciocca, dal momento in cui usciranno dal suo grembo.

Non puoi aggiustare qualcosa che non è mai stato rotto, è la risposta finale della voce narrante.
Acevedo7Inheritance è un’opera visivamente ricca e densa a livello simbolico e versatile come punto di partenza per affrontare con ragazzi e ragazze una serie di temi in gran parte trasferibili al nostro qui e ora, in quanto società multietnica e multiculturale. Un lavoro nel quale potersi, forse, in parte rispecchiare per le giovani e i giovani afrodiscendenti che fanno parte del nostro paese. E più in generale, per riflettere sui corpi, sulle loro rappresentazioni e su come la dimensione della razza si interseca con altre, tra cui quella quella del potere.