Di fuoco e seta
Di fuoco e seta è il nuovissimo romanzo di Manlio Castagna edito da Mondadori.
Di fuoco e seta è un romanzo che aspettavo con curiosità e che con curiosità mi ha trascinata pagina dopo pagina.
Di fuoco e seta è un romanzo notevole sotto diversi aspetti che adesso proverò a sintetizzare e capace di sorprendere il lettore o la lettrice.
Di fuoco e seta racconta la storia di 3 ragazzi (o forse dovrei dire 4…) che hanno attraversato la Storia assistendo (uno anche partecipando in senso pieno) alla battaglia di Solferino e San Martino del giugno 1859.
Si tratta dunque di un romanzo storico?
Sì e no… diciamo che la storia c’è tutta con la sua forza, violenza, il suo fuoco e il suo sangue ed anche con una buona dose di documentazione storica che è imprescindibile quando si sceglie un’ambientazione del genere per una storia.
Ma nel romanzo non ci sono solo Alvise, Altea e Sante, i tre ragazzi protagonisti anche della copertina, ci sono anche altri due personaggi del presente, del nostro presente, Lianna e Asè e non dirò una sola parola rispetto alla trama di questo romanzo che ha tra le sue peculiarità un colpone di scena che non ho alcuna intenzione di rovinarvi.
Diciamo solo che i personaggi sono in relazione tra loro perché gli uni, i 3 del passato, sono i protagonisti della storia che il vecchio Asè racconta al presente alla giovanissima Liala.
E allora arriviamo a lei, a Lianna, per vedere un pochino come è fatto questo romanzo che sembra una cosa e ne diventa un’altra, che non si lascia afferrare da una sola definizione e da una sola tecnica, come deve fare ogni buon romanzo.
Il romanzo si apre con la voce di Lianna che narra in prima persona e la sua voce tornerà diverse volte all’interno del romanzo a scandire dei movimenti temporali tra passato e presente ma soprattutto i movimenti ritmici utili a reggere la suspense e l’attenzione del lettore e della lettrice. Quando siamo al presente Lianna parla in prima persona ma quando Asè racconta ecco che la focalizzazione narrativa si sposta ad una terza persona onnisciente riuscendo a dare un movimento di visione dall’interno all’esterno dal piccolo al grande, dal presente al passato di notevole ampiezza. Un movimento che crea un salto tra passato e presente che poi tornerà molto utile anche alla evoluzione dell’intreccio che, pur procedendo in senso sostanzialmente lineare in avanti sulle due linee del passato e del presente, risulta abbastanza complesso grazie ai colpi di scena, alle intromissioni di un elemento esoterico molto interessante e al ritmo gestito dalla costruzione dei capitoli.
E dunque veniamo al ritmo di Di fuoco e seta che risulta particolarmente incalzante non solo grazie alla scrittura e ai movimenti temporali tra passato e presente ma, mi pare, soprattutto grazie alla gestione tecnica dei capitoli che sono brevissimi e tantissimi, un’espediente che permette al tempo stesso di velocizzare e rallentare (no, non sto diventando scema ma vi assicuro che proprio così è): velocizza il passaggio al capitolo successivo perché Castagna si rivela un maestro nella chiusa dei capitoli in levare, tali per cui sei quasi obbligato dalla curiosità a continuare a leggere il capitolo successivo e poi quello successivo ancora e così via fino alla fine. Rallenta perché comunque il cambio di capitolo rappresenta una cesura ferma e forte e impone alla storia di fermarsi anche se per poco e poi, in questo contesto di movimento temporale chissà se il capitolo successivo riprenderà la storia antica o la presente, ripartirà con la prima o la terza persona, anche questo genera movimento ritmico, curiosità e attesa utili a rendere questo romanzo anche un potenziale membro dell’insieme romanzo d’avventura.
E se vi state chiedendo perché questa recensione sembra avere uno stile diverso e procedere in maniera apparentemente frammentata è perché sono rimasta nel mood dei capitoli di Di seta e fuoco…
Ma arriviamo alla lingua, alla costruzione sintattica e al lessico.
La lingua di Manlio Castagna è sempre, densa di figure retoriche, soprattutto metafore, e di aggettivi a renderla particolarmente espressionistica sebbene mai retorica in senso negativo del termine. In Di fuoco e seta lo stile mi pare si faccia ancora più corposo, le metafore e le iperboli intrecciano una sintassi incalzante che non solo sta perfettamente in armonia con l’andamento narrativo ma si trova in sintonia con l’epoca storica in cui la parte Ottocentesca della storia è narrata.
E sì, infine, se volete, ci sono anche i “temi” e i temi-metafora a intessere e intrecciare le due storie, il fuoco, certo, ma anche il sangue tanto presente da sentirne l’odore grazie alla lingua tesa che lo racconta, ma anche la questione del nome, dell’età, della Storia, della morte passata e presente… e della seta.
No. Io non voglio la loro seta. li allevo perché i bachi diventino ciò che sono destinati a essere. Ho visto troppi morti per osare interrompere la vita. Di qualsiasi essere vivente.
E sulla seta lasciate che mi soffermi un attimo perché questo è un tema forte e fortemente metanarrativo che va molto oltre i bachi da seta e la loro uccisione per ricavarne la seta, c’è la metafora di cosa sia la narrazione e di cosa voglia dire narrare intrecciando fili di narrazioni sottili e delicati, ma c’è anche una riflessione di sfondo quasi animalista, o almeno io l’ho vista così a partire dalla mia sensibilità all’argomento, su cosa voglia dire sacrificare la vita di altri esseri viventi per scopi umani e poi c’è forse superiore a tutto questo, la metafora della crisalide che sta tra bruco e farfalla come l’adolescente tra l’infanzia e l’età adulta e il presente tra passato e futuro.
Ma io adesso come faccio senza di loro? Mi sono diventati così familiari che sentire la loro storia ogni volta era come tornare a casa. Penso che le storie siano come certe persone che compaiono nella tua vita quando ne hai più bisogno. E finisci per affezionarti e vorresti che non andassero più via.
Basta chiudo perché ci vuole pure che una recensione duri il tempo giusto, anche se mi dispiace lasciare questo libro e le sue storie, ma chiudo con un ultimo personaggio forse apparentemente secondario ma che mi pare invece assolutamente centrale nella trama, nell’intreccio e anche nelle tematiche che si intessono nel libro: il cane Nabucco nel cui nome e carattere e fedeltà sono rappresentati come in un’allegoria tutti i nodi centrali di questa storia.
E scomodo avere una lapide per madre, perché non può più darti consigli sul taglio dei capelli.
E da qui continuate voi, buona lettura!