Il gusto della pioggia
Laurent Moreau è un autore che adoro, un autore di albi illustrati, di libri a figure – meglio – in senso pieno, gestisce il testo e l’immagine e crea dei libri che lasciano sempre un segno nel lettore.
È per questo che sono stata molto felice quando ho avuto tra le mani il suo nuovo Il gusto della pioggia, edito da Orecchio acerbo con la traduzione di Paolo Cesari, un libro che per altro trova la sua collocazione temporale perfetta in questi giorni di fine estate in cui le giornate si accorciano e il tempo “si guasta” con qualche acquazzone.

Il gusto della pioggia ci porta nei pensieri di un ragazzino che si gode il giardino in un giorno di fine estate, si prende l’inizio di un’acquazzone sperimentandone la freschezza e il sapore, si rifugia in casa tra le cure del papà e della mamma e, finito il temporale, torna a vivere il giardino in un’altra modalità.
Tutto qui?
Sì, tutto qui.
E questo sarebbe un libro interessante e originale? Quante sono le narrazioni che raccontano questa storia? Molte, moltissime pessime, pochissime meravigliose, tra queste Il gusto della pioggia.
Perché?
Ma perché, come sempre, è COME il libro racconta e non il COSA che rende un libro ciò che è e ciò che rende così potente lo stile di Moreau sta nel suo stile d’illustrazione, le prospettive sfalsate, i colori sgargianti, il testo controllatissimo e che lascia spazio al lettore, e, importantissimo per quanto mi riguarda in un autore come questo, il confine impalpabile tra la fiction e la non-fiction.
Perché, si tratta di un libro di divulgazione sulla pioggia?
No, sicuramente, no, è un albo di fiction e tuttavia… l’attenzione all’ambiente naturale e ai suoi fenomeni e alla relazione rispettosa tra umano e natura è una costante di Moreau e qui non manca e anzi ci dà la sponda per fare echeggiare questa storia anche, volendo, in altri modi, più sulla soglia della non-fiction.

Le tavole del libro sono tutte doppie, a giorno, senza cornici, due sole doppie pagine fanno eccezione, simmetriche rispetto al centro, le uniche in cui il testo non è inglobato nell’immagine ma resta nella pagina accanto. A cosa serve notarlo? Serve a vedere il movimento ritmico dell’albo, un movimento che costruisce ed esprime la tensione narrativa e che è costruito, anche, dalla forma delle tavole.

Il centro del libro è rappresentato dalla tavola bellissima in cui il nostro protagonista viene asciugato dal papà in casa, segue l’attesa della fine del temporale, il gioco di luci e colori tra il buio fuori e l’interno della casa dominato dal giallo, e poi l’uscita di nuovo all’aperto in cui questa volta a dominare è l’acqua in forma di pozzanghera.
Il testo, focalizzato internamente, con il protagonista che parla in prima persona, fa sentire la cura e le domande che si agitano nella sua mente, con una sintesi giusta per il libro a figure tra l’immagine e il testo si crea un’atmosfera calda e accogliente, nonostante la pioggia, perché mimetica di un modo di sentire dell’infanzia.

Anche l’apertura dall’alto che ci mostra il bambino sdraiato in contemplazione e la chiusa che invece ce lo mostra di spalle, in piedi, tra gli schizzi di acqua della pozzanghera, segnano il percorso della narrazione tra il dentro e il fuori, non solo della casa ma anche del pensiero, il prima e il dopo, l’essere umano e la natura, tutte dicotomie che tornano nella poetica di Moreau, pensate a Giocare fuori, Dopo, A che pensi, tra gli altri.
A voi piace lo stile e la poetica di Laurent Moreau? Prestate mai attenzione a come si sviluppa lo stile di un autore libro dopo libro?
A me piace un sacco farlo e credo possa essere anche un buon modo, anche giocoso, per entrare nei libri da porte laterali, non centrate sulla trama, o sulle finalità, ma stando sulla forma che resta poi sempre, l’elemento effettivo con cui il libro significa, non vi pare?