La formica rossa

Quando ho cominciato a leggere La formica rossa, qualche giorno fa, mi ha immediatamente colpita per il suo piglio ironico, diretto, quasi aggressivo.

Dopo un pochino quello stesso tono ha iniziato ad interrogarmi, tirava molto la corda, richiedeva molta pazienza da parte della lettrice, io in quel caso, non capivo bene perché stesse giocando a questo gioco.

Poi ecco che è arrivata la risposta, La formica rossa si gioca su un ritmo particolarissimo intriso di strani terribili colpi di scena in cui è proprio la persistenza e direi forse anche la resilienza di quel tono che a tratti può risultare eccessivo a permettere l’evoluzione della storia.

Adesso, chiuso da qualche giorno il libro che mi ha travolta e convinta, provo a mettere giù qualche pensiero sperando che possa essere utile innanzitutto per correre a leggere La formica rossa, ed anche per allenare l’orecchio alle forme della narrazione.

La formica rossa di Émilie Chazerand, edito da La nuova frontiera junior con la traduzione di Silvia Turato, è un romanzo per ragazzi e ragazze che ci porta nella vita di una ragazza di 15 anni che arriva a dover fare i conti con la sua strampalata esistenza. La narrazione ci fa sentire la voce di Vania Strudel che in prima persona ci porta nella sua personalissima interpretazione della propria vita e di quella che a tratti potrebbe a buon diritto chiamarsi una serie di sfortunati eventi.

Diciamo che questo è uno di quei romanzi che si regge totalmente sul personaggio e sul suo punto di vista sul mondo e non perché non avvengano delle cose all’interno della storia o non vi siano altri personaggi, qui ce ne sono almeno altri 5 secondari uno più bello dell’altro, ma perché il suo punto di vista è talmente forte da straniare la percezione del mondo, talmente egoriferito ed anche talmente quasi brutalmente autoironico (tanto rasentare l’autolesionismo) da travolgere tutto, ogni singolo avvenimento, ogni sentimento che la circonda, ogni situazione e direi anche ogni persona che le sta vicino.

Vania Strudel ha un difetto all’occhio sinistro che la rende bersaglio facilissimo di derisione sin dalla più tenera età, ha un padre tassidermista (cioè impaglia animali morti), una madre morta (forse, diciamo assente), un miglior amico eccezionale ma anche lui membro del club degli sfigati per via della sua discendenza marocchina, una migliore amica straordinaria che porta su di sè un gravissimo difetto congenito tale da renederla membro onorario del suddetto club degli sfigati e poi… e poi ve lo lascio scoprire.

Incontriamo Vania all’inizio del liceo e la seguiamo per l’arco di un’intero anno scolastico circa, lasciandoci travolgere dalla sua travolgente autoironia ma anche dalla sua incredibile intelligenza, tutto sembra andare come sempre, ovvero piuttosto male per Vania e la sua socialità scolastica, fino a quando un avvenimento, che sarà svelato solo alla fine, la porterà a guardasi con occhi diversi… sembrerebbe una cosa positiva ma vi assicuro che per moltissima parte del libro così non è.

A Vania, da questo avvenimento in poi, inizia a cadere il mondo addosso.

Non il mondo vero bensì il mondo che lei stessa si era costruita, fatta di sarcasmo autodistruttivo, di bugie assurde e di una “retorica della sfiga” assai nota a diversi ragazzi e ragazze di quella età, secondo me.

Ecco che l’impalcatura di Vania viene giù, pezzo dopo pezzo, e c’è da preoccuparsi davvero che non resti schiacciata dal peso di questa frana che sembra inarrestabile. Anche nei momenti più duri, anzi forse proprio in quelli di più che in tutti gli altri, Vania vi regalerà un sorriso quando non una risata, il suo modo di provare pietà per se stessa è questo, produrre il riso negli altri…chissà se però questo basterà per ricomporsi.

Vania è un personaggio straordinario che ha per altro una percezione molto precisa di chi sta dall’altra parte del libro, del lettore o della lettrice, direttamente implicati nella narrazione, reso complice di tutto ciò che travolge Vania.

Mi vorrei davvero soffermare sui vari personaggi, andare a vedere come vengono costruiti e fatti muovere, come da essere figurine create dalla mente autodistruttiva di Vania, diventino personaggi a tutto tondo che si liberano della gabbia in cui la protagonista li mette, ma mi ci vorrebbe troppo tempo quindi vi risparmio e spero che vi godrete tutto questo nella lettura.

Chiudo con una riflessione che riprende quella di apertura: se indubbiamente la forza eccezionale di questo romanzo sta nel suo personaggio narrante, è ugualmente vero che è proprio grazie al suo modo d’essere che l’autrice può giocarsi tutto sul ritmo narrativo che è scandito da imprevedibili colpi di scena tali per cui ci troveremo, come Vania, a dover rimettere si i pezzetti noti di questa storia per ricomporla nella maniera “corretta”…. ammesso che vi sia poi una maniera corretta per rimporre una storia, una vita.

Il libro che rotola incessantemente verso la fine portandosi dietro tutto il dolore e il caos che ad una ragazza è concesso sopportare, chiude con un ultimo capitolo in corsivo, scritto in forma di lettera ad uno di quei personaggi secondari che non ho voluto svelarvi, in cui tutto si appiana, Vania finalmente sembra aver preso il sopravvento su quella parte di se stessa che la stava portando dritto dritto all’autodistruzione, un capitolo serendipico, se così posso dire, di cui devo dire sono anche grata all’autrice perché ci serviva di prendere un po’ d’aria, di sapere Vania al sicuro… da se stessa innanzitutto, e anche di rallentare il ritmo. Questo libro è un viaggio veloce e sulle montagne russe che arrivi all’ultima curva rallentando per riaccompagnarci con un minimo di fiducia nel mondo all momento di separazione tra mondo scritto e mondo non scritto non è affatto una brutta cosa!

Buona lettura

Teste fiorite Consenso ai cookie con Real Cookie Banner