Le degenerate

Che dire di Le degenerate?

Provo a mettere in ordine un pochino i pensieri dopo aver mandato giù il senso di claustrofobia e ingiustizia che questo romanzo riesce a produrre nel lettore. Ci vuole qualche giorno per riemergere da questa narrazione, nonostante il finale aperto, e infatti ecco che qualche giorno è passato e io provo a trovare qualche parola per raccontarvi questo romanzo davvero interessante.

Le degenerate di J. Albert Mann edito da Uovonero con la traduzione di Giuseppe Iacobacci ci porta negli Stati Uniti di fine anni Venti, siamo esattamente tra il 1928 e il crollo della borsa del 1929, il luogo in cui veniamo rinchiusi per l’intero romanzo insieme alle protagoniste è la scuola Fernald, la scuola del Massachusetts per deboli di mente, in cui chi viene rinchiuso non è affatto detto che sia debole di mente ma è assolutamente detto che è destinato a non uscire mai più.

Il nostro posto, di lettori e lettrici, è nella sezione femminile della scuola, non sappiamo cosa accada nella maschile ma non sarei stupita dallo scoprire che la situazione nel reparto femminile è peggio, non foss’altro perché nell’istituto ci sono anche le ragazze, come London, perfettamente sane di mente che vengono rinchiuse come dementi per essersi fatte mettere incinta senza nessuna sicurezza. Ecco, lei, London, è una delle protagoniste che ci porterà con sé in questo luogo da incubo dove la routine disumana regna sovrana almeno tanto quanto le diagnosi incredibili e le pratiche inumane rivolte ai più fragili.

Insieme a London, che apre la narrazione con un incipit memorabile ma ci torno tra un attimo, conosceremo Alice, Maxine e Rose, ognuna rinchiusa per motivi diversi, tutte abbandonate dalla famiglia che non va nemmeno a trovarle nei rari giorni di visita.

Forse sino a qui vi ho dato l’impressione che si tratti di un romanzo corale, con i diversi punti di vista interni narranti, invece non è così, qui abbiamo un narratore onnisciente che non interviene mai ma che ci fa sapere che sa di più di quanto non sappiano le protagoniste, direi che ci va bene così, che è stata una scelta adeguata al romanzo, avremmo davvero fatto fatica ad ascoltare la voce di Alice o di Rose, ad esempio, forse però non avremmo fatto fatica a seguire quella di London la cui personalità è talmente forte da costringere il narratore a cambiare tono e stile per adeguarsi ai modi di London… e poi ci sono, certamente, i dialoghi in cui quelle voci prendono forma nel corso del romanzo.

Le 4 ragazze creano un sodalizio, 3 di loro in realtà ce l’hanno già da un bel po’ e vivono nel terrore che si rompa l’anno in cui diventeranno “adulte” per l’istituto e saranno separate, e poi arriva London a scombinare le carte e a portare una forza che lì dentro sembra tanto una boccata d’aria quanto un tentato suicidio.

Ma torniamo un attimo all’incipit che potrebbe essere portato ad esempio di come siano efficaci gli inizi che puntano sulla deviazione apparente dall’argomento principale della narrazione.

London continuava alla ripensare alla ragazza nel polmone d’acciaio, tenuta in vita da due settimane nel grosso bidone di metallo.

Lo stesso tempo era trascorso da quando s’era resa conto lei stessa di covare qualcosa di vivo dentro di sé.

Non c’era alcun rapporto fra una cosa e l’altra, ma non riusciva a non collegarle, mentre percorreba Chelsea Street

Le degenerate inizia così, con una metafora che si rivelerà tale non solo rispetto alla condizione di London, come lei sembra intuire, bensì con l’istituto in cui la ragazza verrà rinchiusa da lì a breve e dove incontrerà le altre ragazze. In realtà questa è una metafora al contrario, in qualche modo: se è vero che il polmone d’acciaio è una macchina che procede per pratiche stabilite come lo sarà l’istituto Fernald, è anche vero che il primo tiene in vita, il secondo non è detto che ci riesca, anzi…

London, Alice, Maxine e Rose diventano creature vive e vicine al lettore o lettrice in brevissimo tempo, l’autrice riesce con abilità a farci sentire che queste non sono creature di carta ma in carne e ossa, persone che sono state travolte dall’istituto e dalla storia, magari non proprio con quei nomi, e a cui la letteratura, la finzione verosimile dona nuova vita e speranza. Tanta speranza che ad un certo punto, verso la fine del libro, ho temuto che la narrazione cedesse alla tentazione di trovare una via di uscita impossibile e utopica che tanto avrebbe gratificato la frustazione della situazione ma tanto avrebbe pure nuociuto alla qualità della costruzione narrativa. E invece no, la fine sorprende e tiene bene insieme quel filo di speranza e la realtà optando per un finale aperto che sta a noi immaginare in toto facendo ognuno i conti con la propria capacità di sopportazione del dolore e dell’immaginazione dell’impossibile.

Le degenerate è un libro molto documentato, l’appendice che segue il romanzo è illuminante su alcuni aspetti delle cosiddette cure e diagnosi della scuola per deboli di mente ed anche le parole dell’autrice sulle motivazioni e modalità che hanno mosso la scrittura sono decisamente interessanti. Ma non vorrei che tutto questo schiacciasse il romanzo sul suo argomento, sulla situazione narrata, sull’indignazione rispetto a quanta sofferenza l’essere umano è stato capace di creare e perpetrare. Se così fosse non faremmo un buon servizio al libro, alla letteratura e soprattutto ai giovani lettori e lettrici a cui spero lo proporrete: Le degenerate riesce a produrre un tale senso di empatia con le protagoniste e di indignazione e di costernazione e di incredulità e chi più ne ha più ne metta, SOLO e soltanto perché è scritto (e tradotto) in maniera davvero efficace.

London, Alice, Maxine e Rose sono qui a renderci parte della loro storia, attraverso la maestria della narrazione, non solo e non tanto per “denunciare” ciò che l’eugenetica è stata, ma per riprendersi la loro vita attraverso la scrittura che le rende non figure piatte stereotipate come facevano i medici dell’istituto, bensì creature che provano emozioni, amano, soffrono, ridono, piangono, ricordano, pensano, ballano… insomma vivono.

Potrei continuare a lungo sulla questione della verosimiglianza e soprattutto dell’eugenetica ma vi risparmio per invitarvi a leggere il libro e trovare voi le strade che meglio sapranno parlare al vostro cuore e alla vostra testa.

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