La prima volta di ogni cosa
C’è una prima volta per ogni cosa, ovviamente, alcune prime volte hanno più importanza di altre, alcune prime volte le ricordiamo, altre le dimentichiamo, altre ancora preferiamo, o preferiremmo rimuoverle. Avviene in ogni momento della vita, di fare qualcosa per la prima volta, tuttavia ci sono situazioni, soprattutto ad una certa età, in cui la concentrazione di prime volte è tale e tanta da poter cambiare il corso della vita successiva.
Di questo racconta il bellissimo La prima volta di ogni cosa di Dan Santat edito da Il Castoro con la traduzione di Laura Tenorini.
Un romanzo a fumetti, vincitore del National Book Award, in cui il Dan dell’estate tra le medie e il liceo racconta il suo viaggio in Europa con un gruppo di coetanei e di come da lì tutto sia cambiato.
Difficile soffermarsi su una trama fatta di piccole cose, particolari, gaffe, non detti, vomitate e pregiudizi e d’altra parte, come sapete ormai bene, le trame non mi interessano. Mi interessano gli intrecci e i meccanismi narrativi con cui le storie sortiscono l’effetto sul lettore, non il cosa ma il come. E dunque vediamo un po’ come si struttura questa che potrebbe esser anche definita una autobiografia a fumetti dell’autore che alla fine del libro ci racconta alcuni dettagli di come è nato questo lavoro e di come ha lavorato e rielaborato i ricordi perché diventassero una narrazione degna di essere letta con empatia, emozione e immedesimazione.
Sì, l’immedesimazione credo sia la cosa più forte che avviene in questo libro, il ritrovarsi nei panni del personaggio o uno dei personaggi di questo romanzo a fumetti che, è vero, è ambientato nell’estate del 1989, un anno per molti versi mitico in Europa, ma che per ciò che riesce a raccontare oltre ai fatti in sé non porta alcuna traccia del tempo. Un ragazzino di 13 anni di oggi vive e sente le stesse cose del Dan di 13 anni e dei suoi compagni e compagne di viaggio perché ci sono certe cose che fanno parte di un momento della vita e non di un’epoca storica ed è questo che permette ad alcuni libri di “durare” di più di altri… e io spero che La prima volta di ogni cosa trovi la sua durata battendo il tempo.
L’autore sceglie un andamento cronologicamente lineare, e lascia il massimo posto possibile al suo personaggio che si racconta in prima persona, anche quando abbiamo delle didascalie è sempre la voce del Dan personaggio che sentiamo, come fosse un fuori campo, non c’è narratore che non sia lui. In quei pochi ricordi che appaiono alla mente di Dan ad alterare l’interpretazione della realtà non c’è alcuna esplicitazione del passaggio temporale, è il cambio di colore che ci fa capire che siamo in un flash back, chiaro, semplice e perfettamente integrato nella narrazione primaria.
Moltissimi dei blocchi emotivi di Dan dipendono dai suoi ricordi, ricordi negativi di prese in giro, incomprensioni, vergogne, che lo bloccano al presente fissandolo al passato. Ci vorrà un pochino a Dan per aprirsi al mondo, come spesso accade ci riuscirà negli ultimissimi giorni del suo viaggio di tre settimane in Europa, un tempo lungo ma anche breve se si pensa che il nostro protagonista tornerà a casa profondamente cambiato, in meglio, pronto ad accettare gli imprevisti e le cose della vita con più leggerezza, merito delle prime volte (la fanta, la birra, il volo, l’uscita da soli per la grande città, la sottrazione notturna indebita di bicicletta, la dicoteca, l’amore, il bacio…)?
Sì, certo, anche, ma sono prime volte che accadono anche grazie a qualche piccola forzatura oltre che alle fatalità.
La prima delle “forzature”, e la sola su cui vorrei soffermarmi perché non posso tediarvi troppo a lungo, è quella della professoressa che accompagna la truppa di ragazzi in viaggio e che ha un ruolo tanto nella disfatta iniziale di Dan agli occhi dei compagni pestiferi di scuola, quando nella sua rinascita e tutto grazie a… una poesia e una poesia non di un autore qualsiasi bensì di un autore simbolo dell’infanzia ed anche del suo superamento, in qualche modo.
La prima volta di ogni cosa dopo un primissimo incipit che inquadra Dan nel suo luogo e condizione di vita quotidiana, si apre con dei versi di una poesia di A.A. Milne, sì, esatto, proprio l’autore di Winnie Puh, che scrisse anche poesie non per bambini. Sono i versi di una di queste poesie che fanno da colonna sonora della narrazione chiudendo quasi un circolo interno della narrazione, dal punto più basso di popolarità tra coetanei di Dan al suo apice.
Saranno i versi di Milne a fare da grimaldello al cambiamento pronto sotto pelle e non saranno, in quel momento specifico, i versi di una poesia per adulti, che tornerà tra le pagine finali, bensì una frase straordinaria dello straordinario Winnie Puh, e c’è un motivo per cui ci ricordiamo di Milne per quel romanzo straordinario!
Quanto sono fortunato ad avere qualcosa che rende difficile dire addio.
Milne, autore di un classico per l’infanzia dei più intramontabili, autore simbolo d’infanzia che diventa qui motore di quel movimento che l’infanzia la lascia alle spalle per guardare ad un nuovo straordinario pezzo di vita forse troppo precocemente giudicato male.
La prima volta di ogni cosa è un libro tenero e soprattutto profondamente vero, qui dentro ci sono ragazzi e ragazze vere, sentimenti veri, parole e pensieri veri e di questa verità il lettore e lettrice hanno bisogno per sentirsi travolti dalla narrazione, sospendere l’incredulità e lasciarsi andare ad una storia che, forse, mutatis mutandis, può essere anche la loro.
Potere della letteratura che anche a fumetti sa narrare la vita che attraverso la verosimiglianza diventa più vera della realtà.
Quanto sono fortunata a leggere libri a cui è difficile dire addio… il bello del libro però è che puoi sempre riaprirlo e ritrovarlo, certo non sarà più come la prima volta però…
Buona lettura