Proteggimi
Avevo deciso di dedicarmi a Proteggimi di Jacqueline Woodson durante le feste, volevo prendermi un tempo disteso per godermi la lettura e invece…
E invece, come talvolta mi capita, il libro si è imposto e, approfittando degli ultimi viaggi dell’anno me lo sono bevuto tutto d’un fiato e dunque eccomi qui a traccontarvelo fresco fresco di lettura.
Proteggimi di Jacqueline Woodson edito da Fandango nella bella collana Weird Young con la traduzione di Chiara Baffa è un libro intenso e complesso, dalla costruzione particolare su cui tornerò tra un attimo, e dalla fortissima componente emotiva che riesce a non sfociare mai nella retorica spicciola né nell’autocommiserazione o altro.
Grazie alla voce narrante in prima persona ci ritroviamo in un gruppo di 6 ragazzini e ragazzine di prima media riuniti in una sorta di classe speciale, ovvero una di quelle classi in cui in certi Paesi vengono riuniti quegli studenti e studentesse con delle specificità marcate. A dirla tutta arriveremo alla fine della narrazione senza aver bene inteso quale sia, per ognuno di loro, il “bisogno specifico” che li ha fatti convergere nella classe della professoressa Laverne. Quello che mi pare certo, col senno di poi della lettura, è che per questi 6 ragazzi è stata davvero una fortuna incontrare un adulto come la professoressa Laverne non solo capace di sentirli nel profondo ma anche in grado di lasciare loro degli spazi e tempi da gestire in autonomia.
Viene da pensare che tutti i ragazzi e le ragazze dovrebbero avere una professoressa Laverne sul loro cammino… intanto mi limito a essere felice per io nostri 6 personaggi che ci si sono imbattuti… certo le loro vite sono talmente tanto problematiche sotto diversi aspetti che possiamo anche pensare che meno male che hanno almeno incontrato la Laverne!
Va bene riprendiamo dall’inizio e proviamo a dire di che parla questo libro: la nostra protagonista in prima persona racconta di quell’anno di scuola in cui la Laverne ha concesso alla classe un’ora del venerdì, quella prima della fine della scuola, in cui, in un’aula ad hoc, l’aula APP, i ragazzi possono parlare tra loro, liberamente, di tutto quello che vogliono, senza adulti ad ascoltare. I ragazzi prima vanno in crisi, la libertà spaventa se non ci si è abituati, cosa possono mai dire e fare da soli? Che senso ha questa cosa? Alla fine dell’anno scopriranno di aver vissuto una situazione unica che li ha resi un gruppo e non più singoli individui.
La voce narrante è quella di Haley ma poi, grazie all’escamotage narrativo di un registratore che lei porta in classe per fissare le voci così da far memoria di loro stessi a distanza di tanti anni, possiamo sentire le voci anche di Santiago, Esteban, Amari Tiago e Holly.
Con l’occasione del registratore ognuno piano piano si apre, chi ha il padre dominicano preso dai poliziotti e deportato in un centro per il rimpatrio degli immigrati, chi ha il padre in prigione e la mamma che non c’è più, chi viene preso pesantemente di mira dai compagni… insomma le situazioni familiari complesse qui si sprecano e sicuramente questo è uno dei fattori che fa sì che questi 6 personaggi si ritrovino nella stessa classe speciale. Solo Holly sembra essere diversa dagli altri membri del gruppo: è ricca, è intelligente ed ha, per quanto ne possiamo dedurre, una famiglia amorevole e attenta. Holly è la migliore amica di Haley e a lei è legata da qualcosa di molto speciale che non vi svelerò.
Del gruppo un solo ragazzino è bianco, tutti gli altri hanno diversi livelli di colore scuro della pelle e la questione razziale conduce molte delle loro discussioni; ma anche molti pensieri attorno alla libertà e all’America, al sogno americano… insomma nell’aula APP a partire dalle singole esperienze, molte molto traumatiche, si sviscerano le contraddizioni di quella che si proclama la più grande democrazia del mondo il cui sistema però fa acqua da tutte le parti.
Insomma la questione sociale e politica attraversa in maniera costante e decisamente interessante il libro ma non è questo che mi interessa, come sempre quello che mi interessa è la dinamica narrativa che la Woodson lavora scegliendo un intreccio davvero particolare che permette movimenti temporali e andirivieni delle storie che mettiamo insieme a pezzi, come un puzzle.
È la voce di Haley a permetterci di seguire la storia senza perderci negli scarti temporali, nei continui flashback e flashforward non esplicitati, senza di lei probabilmente soprattutto l’inizio ci farebbe perdere il passo della narrazione anche perché, almeno fino ad un certo punto, la voce di Haley la sentiamo relativamente poco, anche lei, come i suoi compagni, si svela man mano nel tempo e non anticipa niente nemmeno a noi, suoi più vicini collaboratori in questa narrazione.
Haley, con i suoi capelli afro ma rosso fuoco e la pelle a metà tra il bianco e il nero, rappresenta un punto di trait-d’union o meglio la somma e la summa delle questioni che man mano si dipanano, è lei il centro narrativo e non solo e non tanto perché è lei a raccontare, ma perché, per come è costruito il suo personaggio, funge da ponte tra mondi e situazioni diverse, in lei si racchiudono fisicamente e psicologicamente esperienze e situazioni che negli altri si dipanano in maniera più distesa. Bilancia questa complessità duplice di Haley la sua amica Holly, le uniche due femmine del gruppo classe speciale.
Mi è piaciuta moltissimo la scelta grafica di inserire i dialoghi nel flusso narrativo senza soluzione di continuità segnalandoli solo con il corsivo, senza segni interpuntivi specifici e lasciando la maggior parte delle volte a noi capire chi sta dicendo cosa. La narrazione in questo modo fa due cose: da un lato assomiglia al flusso di coscienza con cui ognuno all’interno del gruppo si esprime; e dall’altro riproduce quella voce che il libro cattura alla stregua del registratore di Haley. È come se, in parte, noi avessimo tra le mani e potessimo ascoltare le registrazioni delle voci dei ragazzi che si danno appuntamento venti anni dopo per riascoltarsi, e ricordarsi di loro stessi, qualsiasi strada avranno preso le loro vite.
Chiudo con un pensiero sul titolo altrimenti mi dilungo troppo. Proteggimi.
La protezione, forse potremmo intendere il senso profondo di questa parola con la cura che però si di intende qui sia in senso fisico che emotivo e psicologico e sociale, è un elemento costante che torna per tutta la narrazione, una specie di parola chiave, un ritornello che parte dalla professoressa e passa ai ragazzi. Ognuno deve proteggere l’altro, amico e sconosciuto che sia, è l’atto del proteggersi a vicenda che garantisce, in effetti il patto sociale, la sicurezza fisica e emotiva, quella che a molti dei nostri personaggi manca.
Ma aggiungo un altro pensiero, l’ultimo giuro.
Io quel Proteggimi del titolo, così imperativo verso un tu lo afferisco anche a qualcosa di molto più ampio e metaforico e a mio parere ben consonante con questa storia: ovvero alle narrazioni degli individui. È la nostra storia individuale, sommata alle altre storie individuali, che, moltiplicando i punti di vista, ci protegge. La storia ci protegge, questa storia che Haley racconta la proteggerà e la guiderà nella scelta di come stare al mondo.
Non so se condividete e sentite questo pensiero, io lo sento molto molto vicino: ogni storia, anche la più fantastica e allegorica, anche la più individuale e semplice, è un pezzetto della storia collettiva e la stratificazione di storie è ciò che ci rende umani, singolarmente, e comunità, tutti insieme e credo francamente che, se volete trovare quel punto in cui la letteratura significa in maniera silenziosa ed implicita, questo sia proprio il senso più profondo di Proteggimi l’autonarrazione e l’ascolto reciproco delle storie che, una sull’altra, fanno identità, di singoli e di gruppi, e protezione reciproca.
Spero davvero che leggerete Proteggimi e che mi direte cosa ne pensate!
Buona lettura
p.s. Aggiungo una sola postilla sulla lingua che non so se valga anche per l’originale in inglese: quando sentirete parlare i personaggi vi accorgerete che hanno un’uniformità di costruzione linguistica che non rispecchia la realtà con cui persone di origini e strati sociali così diversi possono parlare. Che sia stata una scelta della traduzione o che invece sia stata a monte anche una scelta dell’autrice credo che la motivazione possa risiedere in questo: il libro ha una struttura d’intreccio davvero particolare e complessa, il dipanarsi dei singoli percorsi dei diversi personaggi non è semplice da seguire per il lettore, se la lingua fosse stata più realistica, meno omogenea si sarebbe ulteriormente alzato il grado di difficoltà della lettura.