Gesso di Anna Woltz
Sangue, ragni, vulcani in eruzione, genitori che si baciano – non chiudono mai gli occhi. Voglio vedere tutto, a parte adesso.
Poche autrici sanno narrare le fratture dell’anima e del corpo come fa Anna Woltz, autrice che seguo sempre con enorme attenzione.
Il libro che vi racconto oggi è l’ultimo romanzo di Anna Woltz, si intitola Gesso ed è appena stato edito da Beisler con la traduzione di Anna Patrucco Becchi, un romanzo per ragazzi e ragazze che trascina dalla prima all’ultima pagina in un turbinio di situazioni concrete ed emotive tragicomiche.
Fitz, alias Felicia, la narratrice in prima persona, ci racconta in prima persona di quel giorno in cui in ospedale scopre che forse le anime si possono guarire come i corpi, che le braccia si possono ingessare ma le famiglie no, che forse l’amore non finisce quando si scopre che è finito l’amore tra i genitori… Sì, avete inteso bene, quella che Fitz ci racconta è uno dei giorni in cui la sua vita interiore cambia radicalmente, una giornata campale da ricordare più che da dimenticare, uno di quei giorni che iniziano che sei, o pensi di essere, una persona, e finiscono che ne sei un’altra…. o forse la stessa di prima ma con qualcosa di più e qualcosa di meno.
Provo a riassumere in maniera goffa la trama, nella quale sapete che nutro poca fiducia. Tutto inizia quando la sorella piccola di Fitz, Bente, e suo padre hanno un incidente in bicicletta, trasportando una slitta, e finiscono in ospedale: Bente con una falange del dito staccata da riattaccare, il papà con un’emorragia interna che non sa ancora di avere. Quando in ospedale arriva anche la mamma, appena separatasi dal papà, Fitz sparisce (ha in faccia una strana maschera che le copre una scritta insolita… non vi svelo niente perché questo è elemento portante della trama) incontra due ragazzi, il primo, di 15 anni, bello come un attore americano, vaga per l’ospedale in attesa di poter intravedere il suo fratellino nato tanto in anticipo da sembrare un piccolo alien trasparente, la seconda, più piccola di Fitz, è una ragazzina malata di cuore che mostra a tutti la cicatrice sul petto e racconta il suo amore per il dottore che gliel’ha fatta. Nel mentre di questa giornata incredibile succedono un sacco di cose, in ordine sparso, tanto per darvene un’idea, Fitz si ingessa per davvero un braccio non rotto, e ingessa dentro anche le fedi dei genitori, i ragazzi combinano una tresca tra un’infermiera specializzata del reparto neonatale e il pediatra che segue i cuccioli umani prematuri, la protagonista scopre e dichiara il suo primo amore e molto molto altro ancora.
Anna Woltz sa benissimo creare sistemi di situazioni tanto complesse da funzionare alla perfezione come metafora della vita quotidiana.
È come se avesse bisogno di costruire situazioni estreme per poter rendere la complessità della normalità, costruisce metafore di natura concretissima per rappresentare i movimenti interiori. Qui abbiamo una famiglia che si rompe e il tentativo da un lato di riparare e dall’altro di accettare la situazione e il fatto di creare la narrazione all’interno di un ospedale, tra il reparto di pronto soccorso e quello di terapia intensiva neonatale diciamo che contribuisce non poco a rendere visive e tangibili i problemi messi in campo riguardanti tanto la linea filiale-genitoriale, che quella amorosa sentimentale.
Cosa succede quando due genitori si separano? Che la famiglia si frantuma e i figli cercano disperatamente un nuovo equilibrio che garantisca la sopravvivemza di loro stessi, dei genitori, ma anche che salvaguardi la fiducia nell’amore e nella vita ed è questa prova più dura.
Sei ancora una famiglia se i tuoi genitori si sono divisi?
Non lo so.
Per i dottori sì, dal momento che dobbiamo attendere nella sala famiglie.
Una prova che la Woltz affronta in senso concreto parlandoci di falangi saltate, emorragie interne, interventi a cuore aperto, neonati prematuri che lottano tra l’esserci e il non esserci, famiglie che esistono per i figli e genitori che cercano di essere loro stessi.
Una summa straordinaria di quanto tantissimi, troppi, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, si trovano ad affrontare nella vita vera, con una dose non bassa di tragicità. Ma è qui che arriva la grandezza della Woltz che modula la sua scrittura con maestria, qui come in suoi altri lavori, tra la tragicità delle cose che accadono contro la volontà dei più piccoli e giovani, e la comicità di alcune situazioni che prendono un tratto ironico tale per cui probabilmente ci ricorderemo della storia che ci sta raccontando per le risate che abbiamo fatto.
Complici la focalizzazione interna di questa ragazzina eccezionalmente sveglia quanto arrabbiata come una iena con la mamma, e l’intreccio degli eventi che non muove il piano temporale della narrazione ma complica il normale procedere del tempo, ed anche il clima fuori dall’ospedale che crea un doppio livello di mise en abyme della situazione, quello che la Woltz ci regala è, ancora una volta, un romanzo ironico, divertente, in cui sono le situazioni a scatenare il riso e a ridimensionare l’aspetto tragico senza mancare di rispetto al dolore dei singoli personaggi.
Sento la temspesta imperversarci intorno. Non ho la minima idea di quel che succederà domani, ma di colpo penso: che geli pure stanotte.