Tight times
Questo post è scritto da Elena Poletti, in collaborazione col suo blog Immaginarie, che cura la rubrica “Libri in lingua” in uscita il primo sabato del mese.
Care teste fiorite, questo mese, sempre felice di essere ospite su queste pagine, vi propongo un salto indietro nel tempo, attraverso un albo del 1979 che potrà risultare fresco e attuale anche per lettori e lettrici di oggi.
Tight times di Barbara Shook Hazen, illustrato da Trina Schart Hyman (edito da Puffin) ci trasporta, con ogni probabilità, nella New York degli anni Settanta, in un periodo di crisi economica filtrato attraverso lo sguardo e la voce di un bambino sui 5 o 6 anni.


Non conosciamo il nome del nostro protagonista, ma da subito una cosa la sappiamo: vuole un cane. A quanto pare, un desiderio di cui i suoi genitori sono ben al corrente. La sua è una vera passione. Ma una mattina, a colazione, il papà gli spiega che la sua famiglia sta attraversando un periodo di difficoltà economiche, e glielo racconta con degli esempi alla sua portata, senza angosciarlo. Stanno affrontando qualche ristrettezza, e allora la mamma si ferma di più al lavoro per fare turni extra – e questo al bambino scoccia, perché si annoia con la babysitter, una signora anziana del vicinato. In estate non sono andati in vacanza, al posto dell’arrosto la domenica mangiano i fagioli – che decisamente non sono il piatto preferito del nostro amico – e comprano i cereali nella confezione risparmio. Dato che il periodo è quello che è, insomma, non è il momento giusto per prendere un cane.

Ma poi, quello stesso pomeriggio, succede di tutto. Il papà torna a casa più presto del solito, con l’aria stravolta. Ha perso il lavoro. Dopo poco ritorna anche la mamma. I grandi hanno bisogno di parlare, e allora il bambino ottiene il permesso di fare una cosa straordinaria, di solito vietata: mangiare la merenda seduto sui gradini esterni, che danno sulla strada. E lì, succede qualcosa di straordinario: dal bidone della spazzatura arriva un miagolìo. Proviene da un gatto minuscolo e striminzito, che il nostro protagonista riesce a trarre in salvo dai rifiuti. Un’amichevole hippie sconosciuta gli suggerisce di dare al micino un po’ di latte, e che gli dice che può tenerlo. Che signora gentile, pensa il bambino, e porta l’animaletto in casa, di soppiatto.

L’arrivo del felino coincide con un momento di tempesta emotiva, per i genitori del nostro protagonista. Ma, ai suoi occhi di bambino, questa rimarrà per sempre una giornata eccezionale: ha ottenuto il permesso di tenere con sé il gattino! Anzi, la gattina, che chiamerà…Dog!
Tight times è un albo piccolo nel formato e piccolo è anche lo scenario che contiene la storia. Tutti gli eventi si sviluppano nell’arco di una giornata. Uno stile di illustrazione caldo, espressivo, ricco di dettagli ci porta dentro questa casa, che è il centro del mondo del protagonista. Gli scorci che vediamo della vita di questa famiglia sono accoglienti nel loro realismo, dalle suppellettili in cucina ai peli del papà.
Alcuni particolari appaiono datati, non li troveremmo più in un albo di oggi, come le sigarette (chiaramente potremo spiegare che oggi c’è più attenzione per i danni del fumo). Alcune recensioni sottolineano che la rappresentazione della babysitter, una signora afroamericana, presenta degli stereotipi. In particolare, in una tavola la signora McIntosh, probabilmente come altre babysitter (e nonne o nonni o genitori) in un momento di stanchezza di ogni epoca, sorveglia il bambino seduta davanti alla tv. Lui si annoia e preferirebbe stare con la mamma. Una scena che evidenzia, nella narrazione, il desiderio di un compagno di giochi da parte del bimbo. Non vedo necessariamente una correlazione negativa con il colore della pelle del personaggio. Potrebbe esserci stati, comunque, dei bias culturali nelle scelte delle autrici; io non vivo immersa nel contesto sociale nel quale il libro è nato, per cui credo che sia giusto tenere aperta la questione sollevata da queste lettrici. Anche questo elemento – in quanto segno dell’età di questo testo – potrebbe diventare un oggetto di discussione critica con i bambini e le bambine più grandi.
Da lettori e lettrici adulti, possiamo immedesimarci nel periodo che i genitori stanno affrontando, intuirne la fatica. Ma la voce narrante è quella del bambino, e il suo sguardo sulle cose rimane lieve, saltellante, aperto alla meraviglia per tutte le cose piccole che a 5 o 6 anni sono importanti.
È un bambino che gli adulti non tengono sotto una campana di vetro, ma che, allo stesso tempo, ha il diritto di essere piccolo, e di lasciare che siano i grandi ad occuparsi delle questioni da grandi.
Significativa, e a tratti liberatoria, la scena nella quale genitori e figlio si lasciano andare ad un momento di pianto collettivo, che poi diventa un abbraccio a panino. Gli adulti di questa storia non sono invincibili né perfetti, e i loro problemi non si risolvono magicamente nel giro di poche pagine. Ma dal loro modo di essere, implicitamente, questo bambino sta imparando a non temere le emozioni ed è già un messaggio non scontato, anche in un’ottica di socializzazione di genere (“Non sapevo che anche i papà potessero piangere”).

Tight times è un piccolo libro che mette, con delicatezza e un filo di humour, tanti temi sul tavolo. Ha il coraggio di parlare ai bambini di problemi economici e di genitori che possono manifestare un momento di sconforto, senza cedere ad un frettoloso scioglimento iper ottimistico.
E il cane che il nostro protagonista voleva tanto? Qualcuno potrà leggere il finale come un messaggio sul sapersi accontentare. A me quella felina sa di un simbolo diverso: delle sorprese – buone – che possono arrivare inaspettate, anche in un tempo buio. A volte diverse dalle nostre aspettative, ma lo stesso luminose. Mi sembra che gli adulti di questa storia abbiano detto questo sì, proprio per compensare quegli altri no, e per fare spazio ad una scintilla di gioia in un momento pesante.
