Un giorno all’aeroporto

Questo post è scritto da Elena Poletti, in collaborazione col suo blog Immaginarie, che cura la rubrica “Libri in lingua” in uscita il primo sabato del mese.

“Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza senza senso”

Questa celebre citazione di Anne Herbert mi ronzava in testa sfogliando La porte A4, che è la traduzione nel linguaggio dell’albo illustrato di una poesia di Naomi Shihab Nye, autrice palestinese-statunitense.

Le illustrazioni sono di Enzo Lord Mariano, canadese, e io l’ho trovato nell’edizione francese, fresca di stampa per le edizioni D’eux.

Racchiusa in queste pagine, la storia di un piccolo gesto di attenzione e di cura tra persone sconosciute destinato a trasformarsi in un incontro, che diventa una fonte di sollievo e anche di speranza.

In una recente intervista Nye ha spiegato in che cosa, a suo vedere, la poesia si differenzia, che cosa può fare in più rispetto ai media e al giornalismo:

Poetry cares. Poetry tries to sing the quiet, subtle stories. Poetry cherishes and protects details. Poetry listens to the ones who are not in the headlines.

La poesia è un qualcosa che si prende cura. Cercando di cantare storie silenziose, non plateali, dando voce ai dettagli, a chi e a ciò che normalmente non fa notizia.

Ed è questo che, in effetti, succede in questo albo lento, che sembra parlare a bassa voce nel raccontarci un micro episodio capace di creare una nicchia di gioia in un ambiente per sua natura caotico e anonimo.

La voce narrante è quella di una donna che sta passeggiando nell’aeroporto di Albuquerque, in attesa del suo volo che, è stato annunciato, partirà con un ritardo di diverse ore. Un avviso richiama la sua attenzione: si cerca con urgenza una persona che parli arabo al gate A4. La protagonista esita per un attimo, poi decide di rendersi disponibile. Tra l’altro, l’A4 è anche il gate da cui dovrà partire qualche ora dopo.

Al suo arrivo, trova un impiegato in crisi, che non sa come rassicurare una signora anziana in lacrime, che non capisce l’inglese. La nostra protagonista riconosce nell’abbigliamento della vecchietta un dettaglio che ne rivela le origini palestinesi – un velo ricamato come quello che indossava sua nonna – e subito le si avvicina e le parla, con gentilezza, nella lingua che ha in comune con lei. Viene a sapere, così, che la signora avrebbe dovuto affrontare un intervento medico il giorno dopo e che temeva che il volo fosse stato annullato.

La signora, sollevata, si tranquillizza e sorride. Insieme chiamano suo figlio, che doveva venirla a prendere a destinazione, e poi altri familiari.

 La lingua madre diventa il filo per intrecciare altre connessioni. La protagonista presta il suo telefono alla signora per farla chiacchierare con il proprio padre e con altri suoi amici palestinesi. Una chiacchiera tira l’altra e le lunghe ore di attesa scorrono leggere mentre una bolla di piacevole familiarità e confidenza sembra avvolgere le due donne, ora non più estranee. Una bolla che poi si estenderà, con dolcezza, anche alle altre persone in attesa al gate. 

La lingua diventa ponte, per le due protagoniste, per entrare l’una un po’ nella vita dell’altra, e il cibo condiviso tra sconosciuti stabilisce un clima più caldo e fiducioso in un luogo di passaggio che tipicamente viene percepito come freddo, asettico.

Curiosamente, in italiano “parlare arabo” è un modo di dire che allude all’incomunicabilità tra persone, ad un ostacolo, anche se in realtà la lingua e la cultura araba si sono mescolate per secoli alla storia di ampie regioni d’Europa in passato, e fanno parte, indubbiamente, del nostro presente multiculturale.  In questa storia, che si dipana dal punto di vista di una donna bilingue arabofona, al contrario, la lingua nella sua variante territoriale (la cosiddetta dārija) è ciò che permette di riaprire la porta di casa. E di stabilire un legame tra due persone di generazioni diverse e dai percorsi di vita probabilmente molto differenti.  

Sul piano visivo la narrazione, sempre delicata, si fa anche gradevolmente espressiva nel tratteggiare il brulicante mondo dell’aeroporto: un mare di sconosciuti che però, se se ne presenta l’occasione, possono avvicinarsi e abbassare le difese reciproche, nel condividere – letteralmente – un pezzo di strada.

L’autrice e l’illustratore riescono a catturare su carta le emozioni di un incontro casuale, un piccolo avvenimento che però, nell’interiorità della protagonista, scatena un momento di visione luminosa, di consapevolezza dell’interconnessione tra esseri umani.

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