Una bella resistenza
Per capirle, certe storie, bisogna “andarci”. Tanto più se sono storie vere.
Così inizia Una bella resistenza di Daniele Aristarco, Mondadori.
Così inizia il suo viaggio attraverso l’Italia, tutta, da nord a sud, per raccontare, anzi forse sarebbe meglio dire farsi raccontare, la resistenza.
Una bella resistenza mette insieme narrazioni che uniscono le generazioni e moltiplicano i piani narrativi senza mai perdere, in questi passaggi (mise en abime li chiamerebbe qualcuno), la precisione che la narrazione storica necessita.
Da Bolzano a Lampedusa seguiamo Aristarco ci racconta storie di individui che sono stati dalla parte della lotta al fascismo, hanno rischiato tutto ciò che di individuale avevano, la vita innanzitutto, per una causa collettiva. E chi lo ha fatto era, nella maggioranza dei casi, molto ma molto giovane.
È questo uno dei presupposti della costruzione storica e narrativa di Aristarco: la resistenza è stata una storia di ragazzi e ragazze e può ancora esserlo sé quella storia, anzi quelle storie individuali, le facciamo risuonare nei lettori e lettrici di oggi.
Storie di resistenza della natura più varia, qualcuno ha resistito con la lotta armata, qualcun altro non accettando di arruolarsi nelle file della Repubblica di Salò dopo l’8 settembre; qualcuno ha lavorato con astuzia e psicologia sopraffina, penso alla beffa del Goldoni qui a Venezia (città che di una Beffa passata alla storia era già stata testimone).
Resistere vuol dire fare una scelta di campo, decidere da che parte stare, e lo si può fare in tanti modi, tutto comportano una conseguenza, talvolta fatale, come è stato per moltissimi partigiani e partigiane, ma ciò che spinge è la necessità di restare fedeli a se stesso ed alla collettività.
Il modo in cui Aristarco costruisce questi racconti attraverso l’Italia, sfruttando al massimo la focalizzazione interna, quella prima persone che quasi senza soluzione di continuità ci fa sentire la sua voce propria propria, che poi diventa quella del narratore portavoce della storia. Una mediazione narrativa e letteraria che tiene e scalda, la materia è già intensa e questo doppio focus non solo non allontana ma sembra tenere tutto più vicino. Sì, le storie sono raccontate di “seconda o terza mano” eppure sono più vicine, perché? Perché è questa rinarrazione che riesce ad accorciare la distanza storica da quegli anni ‘43-‘45 che così tanto lontano ci sembrano. Anni che dai nostri ragazzi e ragazze sono lontano come le ere geologiche a meno che… a meno che non si trovi un filo che leghi, che rinarri la storia e la faccia sentire vicina, presente. Funziona?
Io credo proprio di sì, credo che questa Storia è ancora viva e sta a noi trovare il modo di farne sentire il respiro a casa, a scuola, e di farlo trovando la chiave narrativa giusta. La gioventù potrebbe essere una di queste, la geografia anche, un libro che, come sa fare Una bella resistenza, tiene tutto questo insieme regalandoci per altro una scrittura pulitissima, ce la può fare. Può riuscire piano piano a mangiare centimetri alle distanze storiche giocando non sulla memoria, che si allontanata sempre di più, o almeno non solo su di essa, ma sulla Storia e la ricostruzione e narrazione della Storia a partire dalle storie individuali e collettive.
Non la memoria ma la storia delle resistenze è la nostra storia collettiva, e non è proprio tempo di dimenticarsene
Grazie a chi, con il proprio lavoro, riesce a dare voce ai ragazzi e alle ragazze di allora perché arrivi a ragazzi e ragazze di oggi e di domani, loro sono le staffette e i partigiani non della memoria ma della nostra storia collettiva e individuale.
Leggere Una bella resistenza, ad alta voce, individualmente, a qualsiasi età, e vedrete che queste storie inizieranno a camminarvi dentro. Resteranno personaggi e narratori che abiteranno la memoria come se fosse una storia personale. A me ha fatto questo effetto soprattutto un racconto, la cui protagonista è una ragazza… e a voi?