Grande, bro!

“Se chiudo l’occhio sinistro, tutti i colori diventavano più intensi: i campi che ci sfrecciavano accanto erano sempre più gialli, il cielo più azzurro e l’erba di un verde più acceso. Provai a chiudere il destro. Proprio così: tutti i colori si fecero di colpo un po’ sbiaditi, acquosi, deprimenti. […] Mi chiesi quale dei due occhi avesse ragione, quale mostrasse il mondo com’era davvero. Così brillante e intenso? Oppure così sbiadito e deprimente? Forse una cosa a metà.

Così inizia Grande, bro! il romanzo di Jenny Jägerfeld edito da Iperborea con la traduzione di Laura Cangemi che voglio raccontarvi oggi.

Come tutti i romanzi narrati in prima persona, con focalizzazione interna, anche in questo caso il protagonista, Mans, si narra, narra la propria storia, a posteriori, in un lungo flashback in cui chi racconta sa già com’è andata a finire. Questo è il motivo per cui romanzi come questi hanno condensato nelle prime righe di un incitpi decisamente affascinante il senso ultimo, profondo, dell’intera narrazione.

No, il romanzo non è dedicato al daltonismo e non racconta di occhi visioni, non in senso stretto, almeno.

Il romanzo racconta, senza dubbio, di un punto di vista, o meglio, di due punti di vista, quello del protagonista e quello del resto del mondo, che vedono la medesima cosa in due modi diversi, opposti, direi, almeno inizialmente.

Mans è un ragazzino che si ritrova d’estate a seguire la mamma doppiatrice in un viaggio di lavoro e nel posto dove si trasferiscono per qualche tempo incontra il suo primo e più grande amico. Mikkel fa un’entrata di scena teatralissima nella narrazione, ci incuriosisce sin dal primo sguardo, un ragazzino coetaneo di Mans tutto tatuato dalla testa al tallone… Dovremmo intuire già qui che spesso questa storia ci racconta le cose prima per come appaiono, all’esterno, per poi svelarci che cosa esse sono, davvero… Io non ve lo dirò qui se Mikkel è come appare e nemmeno vi racconterò della situazione complessa che Mans vive in casa con una mamma decisamente alla mano fino al gringe e un padre che fatica a assumersi il ruolo di padre e non lo riconosce per quello che è.

Già, ma com’è che è Mans?

Cascasse una meteorite se ve lo dico! Però vi preannuncio che ci sarà un colpone di scena e che sarà così ben costruito che non ve lo aspetterete e vi sorprenderà come ogni colpo di scena che si rispetti dovrebbe fare.

Il nucleo narrativo dunque ha tante anime, tanti fili che si intrecciano ma l’anima è unica rappresentata da quel desiderio di essere amato per come si è che incontra chiunque a quell’età, anche chi si trova in una condizione decisamente meno complessa di quella in cui si trova Mans.

La lingua di questo romanzo è interessante, o forse sarebbe il caso di dire come la traduzione è riuscita a rendere l’intenzione linguistica dell’autrice che già nei suoi bellissimi libri precedenti (La mia vita dorata da re e La mia gloriosa morte col botto) aveva dato prova di stare molto attenta al modo in cui i singoli personaggi usano la lingua. Bellissimo in questo Grande, Bro! il personaggio secondario della ragazza che dovrebbe fare da baby sitter di Mans e che parla ripetendo sempre tutto 4 volte.

Ora faccio una cosa che non faccio mai ma mi piace molto la circolarità con cui è scritto questo libro, che prende un avvio che occupa metà della narrazione per poi velocizzare tantissimo il ritmo verso un precipitare inatteso degli eventi: vi leggo le ultime righe che si congiungono con le prime, non vi raccontano nulla del romanzo ma spero vi lascino proprio il gusto di andare a leggere cosa sta nel mezzo tra la prima e l’ultima pagina.

Quindi, come possiamo imparare da questa storia? Che può andare TUTTo a merda, ma anche piuttosto bene, in fin dei conti. Basta che la gente si dia una regolata.

Buona lettura!

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